È passata senza fare rumore la revoca, decisa il 6 agosto dal Tribunale di Haifa, della cittadinanza ad Alaa Zayud, 22enne arabo israeliano – palestinese con passaporto israeliano -, condannato a 25 anni per aver attaccato e ferito, due anni fa, quattro israeliani. «Eppure è la prima volta che accade e segna un precedente giuridico molto pericoloso» ci spiega Sawsan Zaher, avvocato di Adalah, il Centro per l’assistenza legale alla minoranza araba in Israele. «La cittadinanza è un diritto fondamentale che non può essere alienato – aggiunge Zaher – Alaa Zayud se perderà l’appello diventerà un apolide per decisione dello Stato di Israele». Un diritto fondamentale, prosegue Zaher, «non può essere revocato sulla base di una semplice richiesta presentata dal ministro dell’interno (Arie Deri). Significa che la cittadinanza israeliana è una sorta di ‘favore’ che la maggioranza ebraica concede a quella araba e che può revocarla in qualsiasi momento».

Per il vice presidente del Tribunale di Haifa, Avraham Elyakim, la decisione invece è stata «idonea e adeguata» alla gravità del reato, tentato omicidio, commesso da Alaa Zayud. «Per ogni cittadino accanto ai diritti ci sono anche doveri e impegni», ha spiegato il giudice. «Uno di questi – ha aggiunto – è l’obbligo di lealtà allo Stato, che viene espresso anche nell’impegno a non effettuare atti terroristici che danneggino la sicurezza dei residenti». Chiunque commetta atti di terrorismo, ha concluso Elyakim, «si allontana dalla società del Paese».

Ciò vale anche per gli israeliani ebrei o solo per gli arabi? L’interrogativo ha già una risposta perché nel 1996 la Corte Suprema respinse una richiesta di revoca della cittadinanza all’estremista ebreo Yigal Amir che l’anno prima a Tel Aviv aveva assassinato il premier Yitzhak Rabin. In quel caso i massimi giudici spiegarono che il sistema della giustizia penale è il metodo accettato in Israele e che le riserve espresse dalla società israeliana in merito all’omicidio di Rabin non potevano essere la ragione per revocare la cittadinanza ad Amir. «Non per la dignità del killer ma per la dignità del diritto alla cittadinanza», sottolinearono. Ventuno anni dopo ciò non vale per l’arabo israeliano Alaa Zayud.

Un punto che accresce i timori della minoranza araba che in questi ultimi anni ha visto sotto attacco il suo status in Israele da parte del governo e della Knesset, i più orientati a destra dalla fondazione di Israele. Senza dimenticare che da 14 anni la Knesset, sulla base di una legge “provvisoria” (Citizenship and Entry into Israel Law del 31 luglio 2003), impedisce la riunificazione familiare, l’acquisizione della cittadinanza e anche della residenza permanente ai palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza sposati con cittadini arabo israeliani. Una misura di “sicurezza” che da anni tiene separati madri o padri dai figli.

In questo quadro si inserisce il dibattito, che riaffiora ad ogni occasione, su Israele quale “Stato del popolo ebraico” e sulla “cessione” delle porzioni della Bassa Galilea popolate da arabo israeliani, all’Autorità Nazionale di Abu Mazen, in cambio dell’annessione a Israele delle porzioni di Cisgiordania dove sono state costruite, in violazione delle leggi internazionali, 150 colonie ebraiche. Una soluzione sostenuta dal ministro della difesa Lieberman che di recente avrebbe trovato il gradimento anche del premier Netanyahu se è vero quanto ha scritto la stampa locale su una recente discussione sul tema avvenuta tra i vertici israeliani e i rappresentanti dell’Amministrazione Trump.

Per il ministro dell’interno Deri invece la revoca della cittadinanza ad Alaa Zayud «rafforza il potere di deterrenza e protegge la sicurezza di Israele». Secondo il ministro «Chi danneggia lo Stato e i suoi cittadini non può farne parte». Posizione inaccettabile per Adalah. «Questa deterrenza è rivolta solo agli arabi – protesta l’avvocato Zaher – abbiamo portato in tribunale i dati sugli attacchi terroristici compiuti da cittadini ebrei con motivazioni religiose o nazionaliste e il ministero degli interni non ha mai chiesto la revoca della loro cittadinanza».