La miseria dà spettacolo. Il suo allontanamento, anche coatto, è parte dello spettacolo attorno al quale si riunisce una popolazione alienata, isolata, indebolita, stanca, se non impaurita.
All’opera è quella che il geografo Neil Smith ha chiamato, negli anni ‘90 del secolo scorso, la città revanscista, ossia una città che richiede e attiva politiche di pulizia spaziale per allontanare le condizioni e le figure sociali del disordine: gli intollerabili, gli inappropriati, emblematicamente rappresentati dalle persone che vivono per strada, senzatetto.

SIAMO NELL’ORDINE, estetico oltre che sociale e politico, della città punitiva, la quale costruisce recinzioni e, insieme, asseconda il risentimento. Si tratta di una città assoggettante, che esclude, vuole escludere, si impegna a escludere, tutto ciò che non rientra nel canone della conformità, in cui per conformità si devono intendere il consumo e la buona educazione del consumare.
Un libro da leggere Corpi e recinti. Estetica ed economia politica del decoro, scritto da Pierpaolo Ascari, professore a contratto di estetica all’università di Bologna, e pubblicato da ombre corte (pp.134, euro 13), proprio perché ci fa entrare dentro l’attualità e la storia della costruzione della città armoniosa secondo i codici del buon consumo. È la città priva di fastidi sociali quella in cui ci stiamo costringendo a vivere. È la città del decoro, il cui abitante legittimo è il buon consumatore, che non vuole turbolenze né politiche né estetiche, ma vuole solo spendere in pace.

LO SPAZIO E I LUOGHI sono pensati e costruiti secondo tali sentimenti e richieste, depoliticizzando la povertà, le disuguaglianze e il conflitto, definiti come elementi indecorosi, antipatici, se non proprio osceni, e nemici della buona convivenza e sicurezza collettiva. E sono costruiti secondo tali sentimenti e richieste in maniera apparentemente non conflittuale, «mimetizzandosi nel buon gusto e nella decenza di tutti». D’altronde, chi può affermare di essere contro il decoro? Si può essere a favore di una città indecorosa? O insicura?

SIAMO, DUNQUE, immersi nella città del decoro, definito da Ascari come un «dispositivo che assimila per esclusione». Questo tipo di città non è di oggi; ha una lunga storia, le cui tracce si ritrovano già nel governo dei boulevard parigini nell’800, così come nella formazione delle città industriali inglesi e nelle città coloniali. Questa storia arriva fino a oggi, entrando nella cronaca quotidiana e nelle pratiche amministrative delle ordinanze e delibere comunali. È la storia di quella che Ascari definisce città postcoloniale, da comprendere in combinazione con il concetto di città punitiva.

LA CITTÀ POSTCOLONIALE è caratterizzata dalla «sopravvivenza dei vecchi progetti imperiali nella strutturazione o nella produzione dell’attuale spazio europeo e nordamericano». Tali progetti, nel rapporto di dominazione tra occupanti e occupati, si fondano sulla doppia funzione di raggruppamento e detenzione del campo, secondo la logica costitutiva di ogni colonizzazione, come spiegato dai citati Joël Kotek e Pierre Rigoulot nel libro Il Secolo dei campi. Questo tipo di progetto si estende ai corpi dei colonizzati, i quali, come analizzato da Frantz Fanon, sono in permanente tensione. Nella stessa condizione, di continua attivazione, sono i corpi degli «espellibili» (gli immigrati) e i corpi degli indesiderati e dei membri delle nuove classi pericolose, oggetti privilegiati delle politiche di decoro, come mostrato, ad esempio, dai lavoratori ambulanti stranieri, sempre pronti a difendersi o nascondere la merce, anche quando titolari, come in quasi tutti i casi, di regolari licenze per la vendita.

CORPI IN TENSIONE e corpi estetizzati sono quelli di chi è bersaglio privilegiato delle politiche di decoro, i quali devono essere ubbidienti anche sul piano estetico. Essi devono rispondere e corrispondere ad un sistema di segni e stili, altrimenti vengono trasformati nell’oggetto della repressione percettiva e, se necessario, della repressione amministrativa e di polizia.
Questo accade «perché nella città postcoloniale e punitiva del decoro, qualunque interferenza alla chiusura in un sistema di segni, dalla povertà al writing, viene perseguita in quanto crimine di stile», secondo l’interpretazione di Sarah Nuttall e Achille Mbembe, tra i riferimenti di un libro ricco, alimentato dalla lettura e dall’uso critico di strumenti di analisi fondamentali.