Il concetto di città corrisponde ancora ai caratteri definiti nella modernità? Oppure la metropoli ne ha stravolto i connotati imponendoci un aggiornamento interpretativo? La questione è complessa perché il capitalismo (post)moderno sembra organizzarsi per aggregazioni metropolitane più che per Stati concorrenti. Recentemente diverse pubblicazioni parlano di «rinascita delle città-Stato», confermando una tendenza: la metropoli contemporanea non ha più i tratti della città moderna, è al contrario intervenuta una rottura che fatichiamo a definire, se non nei termini quantitativi che disegna la metropoli come una «grande città», o come una città «con più di un milione di abitanti».
FLÂNERIE
Il tratto caratteristico della città moderna è la sua unità conflittuale. La flânerie cantata da Baudelaire e decostruita da Benjamin svela esattamente il mistero della modernità: un tessuto urbano circoscritto in cui convivono contraddittoriamente le più disparate posizioni sociali e produttive (tutte, per la prima volta, su di un piano di formale parità). Il flâneur è colui che, girovagando nel multiforme reticolo urbano, viene abbagliato da questa modernità che lascia dietro di sé i contorni del vecchio mondo. Nella città moderna centro e periferia sono costretti a coesistere in una dimensione ancora umana, e l’esplosione di contraddizioni generate da questa miscela di relazioni sociali trova una sua sintesi conflittuale. Il governo della città è costretto formalmente a tenere in conto la presenza di interessi diversi e contrapposti, in altre parole: è costretto alla dimensione politica. Questo è d’altronde il carattere essenziale della modernità: l’irruzione nella scena pubblica delle masse. Tali caratteri sono ancora presenti nelle metropoli contemporanee? E’ ancora possibile una flânerie intesa nei termini descritti poc’anzi?
LA CITTÀ DUALE
La metropoli spezza questa continuità tra territorio e popolazione. La grandezza smisurata – disumana – dell’attuale modello metropolitano non incide solo sulle statistiche demografiche, ma ne altera i connotati originari. La metropoli contemporanea è una città duale, mandando in frantumi quell’unità instabile che distingueva la città moderna. La metropoli è in realtà la somma forzata di due ambienti: la città consolidata e la periferia. Nella città consolidata trovano spazio sia il centro turistico sia quello finanziario, due ambienti collegati allo spazio gentrificato della prima cintura urbana, un tempo periferica e oggi adibita ad uso studentesco e ricreativo. È questo lo spazio dove sopravvivono i diritti di cittadinanza sociale: trasporti urbani più o meno efficienti; verde pubblico diffuso; accessibilità materiale agli enti di prossimità istituzionale; presidii territoriali – polizia, ospedali, scuole pubbliche, eccetera – effettivamente presenti; spazi culturali – cinema, librerie, teatri, eccetera – a portata di mano. Uno spazio pensato e destinato non più al «cittadino», ma ai flussi turistici e produttivi che si servono di un ambiente urbano senza abitarlo. Un flâneur del XXI secolo non troverebbe più alcuna contraddizione vivificante da osservare, ma torpedoni di turisti da schivare.
LE PERIFERIE
C’è poi la periferia, intendendo con questo termine la gran parte del territorio metropolitano e la stragrande maggioranza della sua popolazione. Un territorio svuotato di senso. Al suo interno infatti scompaiono progressivamente tutti quei presidii sociali o anche solo istituzionali che contribuiscono alla relazione un tempo esistente tra centro e periferia. Non sono solo «i teatri» o «i cinema» a non essere presenti in periferia (se non in forma episodica): sono i commissariati di polizia, le attività economiche, i negozi, a dileguarsi. Una lenta ritirata dello Stato da territori che non ha più interesse o forza di governare. La periferia è tale non (solo) per la sua distanza dal centro, ma per il suo ruolo all’interno della metropoli. È il contenitore della forza lavoro su cui la città consolidata fonda la propria capacità produttiva e su cui sperimenta strategie economiche slegate dal controllo politico. Il rapporto che insiste nella città duale appare smaccatamente neocoloniale: da una parte flussi di non abitanti che però determinano i caratteri della città consolidata; dall’altra la maggior parte della popolazione residente che non ha più il potere di definire i contorni della propria cittadinanza e non ha più alcun rapporto con il «centro». Queste due città non comunicano tra loro, se non nei termini dell’asservimento dell’una sull’altra. Generando un doppio paradosso: da una parte, le metropoli globali dialogano tra loro molto più di quanto non facciano con la propria popolazione residente; dall’altra, queste città geneticamente modificate divengono più forti e influenti degli Stati di cui sono parte. Divengono soggetto esterno ed estraneo al resto della popolazione.
MODERNITÀ
Impossibile governare questo processo dalla sola prospettiva municipale: tutte le metropoli condividono gli stessi e irrisolvibili problemi. Il grado di adeguamento a questo modello definisce la «modernità» della metropoli. Nelle metropoli più ricche la separazione è a uno stadio talmente avanzato da sviluppare nuovi dispositivi governamentali del territorio urbano e della sua popolazione (dispositivi che, secondo Giorgio Agamben, generano processi di soggettivazione di difficile comprensione). In altri contesti, come quello romano, la natura incompiuta del processo lascia emergere contrasti tuttora irrisolti dalla normalizzazione liberista. Tutto sta nel capire se questa trasformazione metropolitana abbia ancora qualcosa a che fare con l’idea di progresso, e in base a questo intenderci sulle modalità di governo che questo processo impone. O meglio: esiste un governo della metropoli, o la loro natura speciale le rende soggetti economici svincolati dal volere politico?