È ormai luogo comune parlare di crisi o svuotamento progressivo della democrazia, almeno in Occidente, almeno in riferimento ai caratteri liberali e rappresentativi che da molti decenni ne configuravano i tratti fondanti. È un cliché, non per questo meno vero: siamo effettivamente dentro una trasformazione del nostro vivere associato, una transizione di cui fatichiamo a cogliere la destinazione. Meno immediato è mettere in relazione lo svuotamento della democrazia con la crisi, anche questa evidente sino all’abuso retorico, della cittadinanza: democrazia e cittadinanza sono i pilastri su cui da due secoli si regge l’impalcatura del liberalismo occidentale. È dalla città, luogo della cittadinanza e quindi della democrazia, che si possono cogliere i segni di questo mutamento.
Carlo Olmo, storico dell’architettura, in questo suo ultimo libro (Città e democrazia, Donzelli, 174 pp. 27 euro) propone finalmente una sintesi, complessiva e schematica al tempo stesso, della traiettoria appena descritta: è nello stravolgimento della metropoli contemporanea che vanno ricercati i motivi della crisi dell’idea di cittadinanza, ed è questo evidente declino del rapporto tra metropoli e cittadino che manda in cortocircuito il senso stesso della democrazia nella nostra società.

Il dibattito non è nuovo, pensiamo solamente alla critica della globalizzazione operata da Saskia Sassen che individua proprio nella metropoli globale il luogo dello svuotamento dei diritti sociali, un luogo che si fa strumento di governo della popolazione. Nuovo, o meno immediato, è invece questo modo di proporlo in Italia, tracimando i confini tanto della sociologia urbanistica quanto della filosofia. L’autore si posiziona al centro di un dibattito che investe molteplici materie, discipline e approcci. Si posiziona al centro di traiettorie scientifiche alternative e, a volte, divergenti: maneggiare questa complessità non è facile, e a volte il testo ne risente. Non per questo non arriva diritto al punto in taluni passaggi centrali. Il primo dei quali è quello della perdita del confine, tema inerente tanto alla città quanto alla democrazia: «A fondare la legittimità della cittadinanza sono i confini, che siano storici o naturali. I confini che diritti sempre più frammentati e nascosti tracciano, rendono l’ideologia dello «sprawl» quasi illusionistico. Può esistere una democrazia sostanziale e non formale, senza che lo spazio sia non tanto la rappresentanza quanto la garanzia di una cittadinanza praticata?».

La metropoli contemporanea, al contrario, ha nella perdita del confine uno dei suoi tratti peculiari. L’assenza ormai conclamata del confine tra città e campagna, tra città e non città, non disegna solamente i contorni di una città diffusa che è sinonimo di uno «sprawl» urbano che rovina territori e relazioni sociali: è invece la cittadinanza, intesa come insieme di diritti sociali, a venire meno. Come garantire forme di cittadinanza di chi non è più di fatto cittadino, pur non essendo qualcos’altro? La città senza confini è una città senza cittadinanza, che significa un insieme di relazioni sociali senza più collante comunitario (senza asili, senza trasporti pubblici, senza presidi culturali, senza controllo democratico, senza relazione formale tra città consolidata e sterminata periferia senza democrazia).

Il risultato è la metropoli come «plot inestricabile di specialismi» fondati sulla patrimonializzazione dello spazio pubblico: «Lo spazio patrimonializzato rappresenta un autentico coacervo di legami tra spazio e società, dove ciò che tende a scomparire, quando lo spazio diventa astratto e la cittadinanza un esercizio per un numero decrescente di cittadini, è proprio la città». D’altronde, se la città è eminentemente un fatto sociale o, per dirla con Olmo, una «produzione sociale», il deteriorarsi del rapporto tra spazio e popolazione trasforma la città in qualcos’altro. Nella metropoli appunto, che non si distingue dalla città moderna per le dimensioni di scala differenti, ma per la crisi della cittadinanza che questa si porta inevitabilmente appresso. È esattamente da qui che bisogna insistere per cogliere i tratti distintivi della crisi della democrazia, sviluppando e innervando ragionamenti che individuano nella metropoli l’anello fondamentale di una nuova economia politica, cioè di nuove forme della relazione sociale.