Ieri un altro venerdì di proteste e repressione ha attraversato l’Egitto, dopo che la scorsa settimana alcune migliaia di persone erano scese in strada in alcune delle maggiori città del paese chiedendo le dimissioni di al-Sisi.

Anche stavolta Mohammed Ali, l’imprenditore in esilio che denunciando gli scandali di corruzione ha dato l’innesco A questa nuova ondata di agitazione, ha lanciato da internet il suo appello a manifestare per un secondo «venerdì della rabbia».

Ma se le manifestazioni della scorsa settimana avevano colto di sorpresa molti (comprese le forze di sicurezza) stavolta il regime non si è fatto trovare impreparato. Il dispositivo di sicurezza schierato al Cairo ha impedito fisicamente l’accesso a Tahrir e a tutte le zone circostanti chiudendo una decina di strade e tutte le fermate metro della zona.

L’area vista dalle rare immagini circolate e dalle testimonianze di chi si trovava nel centro città aveva un aspetto surreale per chi è abituato al traffico chiassoso di quei luoghi. Sospeso anche il campionato di calcio.

Il corrispondente del Washington Post al Cairo in un tweet ha raccontato di aver visto decine di uomini a volto coperto e pesantemente armati trasportati su dei pick-up nei dintorni di una delle piazze principali della città. Ma mentre il centro veniva occupato militarmente, alcune proteste sparse si sono verificate nei quartieri popolari ai margini della metropoli (a Giza e a Helwan) e sull’isola di al-Warraq, ancora protagonista con massicce manifestazioni degli abitanti mobilitati da anni contro lo sgombero.

Le manifestazioni sono state rapidamente attaccate con violenza dalle forze di sicurezza con lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. È ancora incerto il bilancio degli arresti della giornata. Secondo fonti vicine al governo citate da MadaMasr l’ordine per le forze di polizia è impiegare «ogni mezzo disponibile» se in pochi minuti l’assembramento non si disperde «con le buone». Altre manifestazioni in alcune province dell’Alto Egitto, compresa la città di Luxor.

Finora si contano più di 2mila persone arrestate in tutto il paese in relazione alle manifestazioni dei giorni scorsi, tra questi noti avvocati, diversi attivisti (spesso non coinvolti nelle proteste), docenti universitari e dirigenti di partiti islamisti e di sinistra.

Scomparso da giovedì sera anche lo scrittore Muhammad Aladdin (ospite più volte anche di festival letterari in Italia). Decine di avvocati lavorano incessantemente per individuare gli arrestati, pubblicarne i nomi e offrire difesa legale.

Intanto gli apparati dello Stato hanno messo in campo tutti i mezzi a disposizione per dimostrare di godere ancora del consenso della maggioranza degli egiziani. I media ufficiali ieri hanno diffuso le immagini di un’imponente manifestazione «per la stabilità del paese» che ha avuto luogo nella famigerata piazza Rabea al-Adawiya (dove oltre mille oppositori islamisti furono trucidati in pochi giorni nell’agosto 2013) con tanto di mega-palco, canzoni patriottiche e sventolio di bandiere egiziane.

Secondo MadaMasr e altre fonti locali, molti dei manifestanti pro-regime sarebbero stati trasportati in autobus da diverse province in cambio di un pasto gratuito (pratica largamente in uso sotto Mubarak e tra i Fratelli musulmani).

E cresce la pressione anche nei confronti dei corrispondenti stranieri (in molti arrivati nel paese nell’ultima settimana). Il Servizio informazioni di Stato ha diramato una serie di comunicati in cui – senza mai usare la parola ‘proteste’ – invita la stampa estera a «non esagerare» la situazione e a non dare credito alle notizie raccolte sui social. I loro articoli e i loro servizi, spiega l’autorità governativa, sono «attentamente monitorati».

Ieri sera Twitter ha rimosso alcuni degli hashtag anti-Sisi più popolari.