O- Ciro, che del cinema aveva sorpreso colto mimato la parte più difficile e ombrosa. Non solo l’ispessirsi continuo delle immagini sovrapposte l’una all’altra, ma la sostanziale inerzia di esse, la loro impersonalità.
1- Ciro, che nella notte di Pasqua si protende verso l’Angelo del lunedì indossando per l’ultima volta le sembianze del demone del cinema.
2- Ciro, che mi precede di sei mesi all’anagrafe, e che l’altro giorno si lascia sfuggire un «non mi lascerò oscurare da deOliveira».
3- .Ciro, non meno importante di un deoliveira nell’ansia ri-autoriale di ri-trovare immagini e di rimarcarle, nel farle ricircolare e rianimare nello stesso spazio (non solo televisivo) in cui spettrali appaiono.
4 – Ciro, che montò con me nella primavera dell’89 il numero zero di Blob.
5 – Ciro, narratore straordinario di storie di cinema stupefacenti in forma di vortici e maelstrom incrociati, in cui confluiscono nomi di giganti e tessitori anonimi dell’ipertesto televisivo.
6- Ciro, «passatore» (passeur) instancabile di nomi titoli scene, esempio di cervello post-cinefilo funzionante non da una distanza estetica fredda ma nel compromesso vitale continuo politico tra forme di vita viste quali cinema e forme di cinema viste quali vita.

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7- Ciro e OW e don Chisciotte. Ovvero (diceva Godard di Welles), «tutti (quasi) (sempre) gli dovremo (quasi) tutto». Orson Welles è per lui testo preferenziale amoroso e testimone privilegiato dello scacco del cinema e del proliferare ramificato della non finibilità dei film. Il solo rapporto di Ciro con l’opera wellesiana, mappa e labirinto condensati in uno stesso spazio, basterebbe a definire e forse a eccedere il ruolo di «riautore» che negli ultimi anni mi son trovato a veder affiorare (e a definire tale) dallo scorrere del giocolavoro di fuoriorario blob schegge. Del resto, la sua autonomia senza modelli resta modello difficilmente reincarnabile. Nessun «contratto» RAI o d’altri ha mai potuto contenere inquadrare imbrigliare il profilo dell’attività di Ciro. Allo stesso modo, «nessuna formulazione teorica» può restare isolata e soddisfatta. Così, il concetto di «non finito» o quello di «rushes» quali situazioni limite cinematografiche e televisive, vengono accolte e trasformate in esplorazioni e trapianti audacissimi, saltando ogni ortodossia filologica e accademica. Il gioco delle versioni e delle varianti oltrepassa anarchicamente le ideologie del restauro e della copia «giusta» o «originale».

I vivi e i morti, i cineasti adorati e quelli solo odorati, i lavori di montaggio meditati per mesi a casa e quelli «lampo» realizzati nella saletta, i capolavori riconosciuti e quelli sconosciuti, rimbalzano e si inseguono da una o più notti tv a un festival a una manifestazione occasionale o ad hoc. Resto stupefatto dal lavoro sull’Etna di un giovane operatore RAI, lo presento al festival di Bellaria, Ciro esulta, passa settimane a Catania a visionare e a scegliere, quelle stupende sequenze di passaggio lento e implacabile dei fiumi di lava diventeranno una delle «cose (mai) viste» più viste in fuoriorario, una mega sigla o un segno rosseggiante sovrimpresso agli operai lumière che escono dalla fabbrica o a un bianconero felliniano o a un western di anthonymann.

8 – Ciro, che ho avuto la fortuna di vedere all’opera sul corpus wellesiano, da solo o con MarcoMelani in una versione «fuoriorario» e nuova di Touch of Evil, o su Arkadin (la versione a schermo ’sdoppiato’, e le incredibili otto o dieci ore di rush/girati, proiettate anche a Taormina), o sulle due nuove versioni del «viaggio nella terra di Don Chisciotte»

9- Ciro, di cui una volta dissi che – avessi avuto la possibilità di inventare una nuova rete – lui sarebbe stato la prima persona che avrei indispensabilmente chiamato a collaborare con me (così aveva detto in precedenza di me angeloguglielmi; evidentemente questi desideri non portano fortuna, perché la circostanza non si verificò mai; oppure fu meglio così, e ritrovarci come una rete tra dissimulazione e pirateria, o una «submarine patro»)
10 – Ciro, di cui mia figlia, poco dopo aver cominciato a collaborare all’ultimo progetto-sogno mi disse: ma è impressionante quante idee ha in mente, ma voi della vostra generazione, credete proprio di essere immortali??!)

11 – Ciro Giorgini. Si, credo che siamo immortali, nell’istante stesso in cui cominciamo a morire.
(Ma Questi brandelli di memoria scontano la impreparazione voluta. Niente necrologi coccodrilleschi, dopo il racconto insuperabile di Samson Raphaelson sulla correzione a due voci della stesura del necrologio di Lubitsch con Lubitsch stesso, in uno spazio magico tra due infarti. È che l’amicizia non si può raccontare così, fatta com’è di film e cose che non hanno bisogno di nomi e titoli, e ancor più – di titoli e nomi che restano tranquillamente senza riferimento.

Negli ultimi giorni, che sembravano ultime ore, ho visto Ciro due tre volte. Abbiamo parlato a lungo, quasi esclusivamente di film, avviluppati teneramente e tristemente nell’abbraccio impersonale della memoria di tutti e depositata in cinema. Di Other Side of the Wind di Welles, ancora una volta Non-Finito. Delle sale romane di cinema mutate in altri usi o vuote e dormienti. Di Ford, John Ford, più di una volta. THEY WERE EXPENDABLE, un capolavoro dove le motosiluranti di johnwayne si sovrimprimono a un’idea di western migrante in altro elemento. A me è parso, ripensando al passato di pochi minuti prima parlando, di vivere una cosa fordiana di bellezza senza confini e senza codici: la chiacchierata di james stewart e richard widmark inquadrati seduti sulla riva del fiume in TwoRodeTogether/CavalcaronoInsieme.).