Con un ministro della famiglia come Lorenzo Fontana, per il quale le famiglie arcobaleno «non esistono», e che vorrebbe «una stretta sull’aborto» e si rammarica che non sia stata prevista nel programma di governo; con un vicepremier come Matteo Salvini che cita Mussolini e bordeggia slogan di altre ere quando dice che il suo governo sarà valutato «sul numero di nuovi nati più che sul suo debito pubblico»; insomma con questi chiari di luna, l’ultima cosa che ci si aspetterebbe è l’attacco di un gruppo di femministe contro il neonominato responsabile del dipartimento tematico dei diritti civili del Pd, Sergio Lo Giudice.
Ma il conflitto viene da lontano. E dalla battaglia contro la «gravidanza per altri», tema che attraversa il dibattito e la militanza del mondo dei diritti. Lo Giudice sostiene pubblicamente la Gpa, così come pubblicamente ha raccontato di avere un compagno e con lui di avere due bambini, nati all’estero.

Ma la sua opinione – la stessa di Nichi Vendola, per capirci – lo renderebbe inadatto a occuparsi di diritti in un partito di sinistra, almeno secondo le firmatarie di un documento: «L’accesso alle adozioni per le coppie omosessuali e per le persone singole è la risposta progressista da dare al ministro Fontana e non la surrogazione di maternità», scrivono. « Lo Giudice, invece, rappresenta un’altra versione distorta dei diritti civili ridotti a bella etichetta per pratiche neoliberali».

Non c’è solo la Gpa nel mirino: Lo Giudice, si legge, è favorevole «all’uso del corpo delle donne nella prostituzione ai clienti disabili, è favorevole all’uso di farmaci bloccanti della pubertà sul corpo dei minori con problemi di identità di genere, così come auspicato dall’industria farmaceutica». La sua nomina, è la conclusione, «affossa ogni speranza che si poteva avere nel rinnovamento del Pd».

Il documento è firmato da reti e associazioni da tempo in prima linea contro la Gpa, fra cui ArciLesbica Nazionale, Se Non ora Quando Libere, Rete 1 ottobre e Udi, l’Unione donne italiane. Fra loro ci sono anche alcune iscritte del Pd che annunciano l’uscita dal partito.

Al di là della questione interne ai dem, i toni sono forti. E non piacciono affatto a Monica Cirinnà, senatrice del Pd, prima firmataria e praticamente lei stessa simbolo della legge sulle unioni civili approvata nella scorsa legislatura. Che è stata approvata in parlamento solo dopo lo stralcio delle «stepchild adoption», cioè l’adozione del figlio del partner. «Sergio è un uomo per bene, competente e con una grande esperienza, quella di Martina di dargli la responsabilità del dipartimento dei diritti del Pd è una scelta giusta», spiega. «Chi lo critica lo fa con le stesse parole che ha usato Maurizio Gasparri in aula contro di lui. Rifletta chi lo attacca dal chiuso delle proprie caverne». Il tema della gravidanza per altri in Italia non si pone: è vietato dalla legge 40 e la maggioranza gialloverde non è sospettabile di aperturismo su questi temi. Anzi. Quanto al Pd, per Cirinnà «solo un partito che gira la testa all’indietro può pensare di non affrontare il tema della procreazione assistita, della genitorialità e della sterilità. Chi attacca Sergio non faccia finta di non sapere che il 98 per cento delle coppie che vanno all’estero per ricorre alla gravidanza per altri sono coppie eterosessuali sterili».