Il 21 settembre è stata inaugurata al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) la personale del fotografo milanese Jacopo di Cera dal titolo «Fino alla fine del mare» (fino al 17 ottobre) proprio mentre si concludeva quella della fotografa palermitana Letizia Battaglia allestita nell’ambito del festival sul giornalismo civile «Imbavagliati».

Curiosa coincidenza perché le esposizioni di due autori così lontani per generazione, formazione, stile e prospettive hanno in comune la Sicilia e la «denuncia». Mentre però la fotografa siciliana, straordinaria testimone della sua terra dal 1980, ha scolpito in dense immagini in bianco e nero l’orrore delle morti di matrice mafiosa e delle stragi a partire da Falcone e Borsellino, di Cera convoglia in 30 immagini l’emergenza sociale dell’immigrazione e lo fa con espedienti e invenzioni che vogliono fare anche i conti con una contemporaneità che esige altre modalità di racconto del reale.

Il progetto espositivo promosso dall’Assessorato alla Cultura e Turismo del Comune di Napoli, con il patrocinio morale del Comune di Lampedusa, propone le trenta opere di una mostra itinerante che dopo il Mia Fair di Milano , Palazzo Velli Expò di Roma, il circuito off del festival di fotografia Les Rencontres d’Arles e il festival «Con_Vivere» di Carrara, tocca ora Napoli.

Dai versi di Omero e in particolare del poema epico Odissea, sono state estratte le sei parole chiave del lavoro: il viaggio, l’isola, il legame, la lotta, la salvezza, il ritorno. Per ognuna sono state scelte cinque immagini che, attraverso il cromatismo, raccontano la storia dei migranti. L’autore, che ha lavorato per anni come responsabile marketing nelle principali multinazionali mondiali e ha studiato con Oliviero Toscani e tanti altri grandi fotografi internazionali, trae ispirazione dalla terra nel sud della Sicilia, Lampedusa, fatta di contraddizioni, sofferenza, di approdi e speranza. Centro del Mediterraneo, Lampedusa, è la terra di passaggio della contemporaneità ed è, come il viaggio di Ulisse, metafora che rappresenta tutta l’umanità, in continuo cambiamento, in continuo movimento. Un’umanità in cerca di una nuova, dovuta opportunità.

In queste immagini stampate in alta definizione direttamente su pezzi di legno prelevati in parte dal cimitero della barche di Lampedusa, si legge simbolicamente, mediante forme e forti cromatismi, il continuo errare dell’uomo, una sorta di traghettamento verso un’altra dimensione, verso una seconda possibilità esistenziale.

Il legno è il materiale-simbolo di questo movimento, di questo viaggio. lascia emergere metafore di viaggi, naufragi e salvezza, dagli strati di vernice screpolata dalle intemperie e gli orditi di vetroresina sfilacciati dall’irruenza degli elementi. «Il punto di vista originale dell’artista non ci traspone immagini crude, ma attraverso un gioco di rimandi cromatici che si rifanno più all’arte di Mark Rothko e Yves Klein, ci spiega la metafora del viaggio, del naufragio e della salvezza», dice la curatrice Auronda Scalera.
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