Il racconto e all’uso ventennale che le culture della desta neoliberista hanno fatto del conflitto tra lavoratori garantiti, gli adulti, e lavoratori non garantiti, i giovani, la retorica renziana ha aggiunto, dentro la ferocia della crisi economica, un nuovo capitolo che si distingue per efficienza, complice «il voi dove eravate» e le scelte non fatte dalla politica. Il governo sta realizzando politiche contro il lavoro che non sono la semplice prosecuzione del neoliberismo nell’austerità, perché producono ancor più di prima divisione, mischiando in apparenza le carte tra politiche di «destra e sinistra».

Per dividere il governo mette insieme gli 80 euro risarcitori, ma non per tutti e soprattutto non per i più deboli e i più colpiti nella crisi, gli incapienti, i pensionati al minimo, le partite IVA, spesso più subordinate dei lavoratori subordinati; adotta il decreto Poletti sui contratti a termine, la vera riforma del mercato del lavoro, che pur di far alzare le statistiche sull’occupazione, aumenta la precarietà reale, lasciando su uno sfondo vago e lontano nel tempo, affidato alla legge delega, il contratto a tutele progressive che dovrebbe sostituire, forse e solo dopo sperimentazioni, una parte di non si sa quali delle attuali molteplici forme di contratti di lavoro; dichiara con presunzione di voler estendere in maniera universale gli ammortizzatori sociali, ma con le risorse stanziate riuscirà a farlo solo per i collaboratori a progetto, e forse neanche tutti, lasciando fuori le partite Iva e tutte le altre forme di lavoro precario e determinando una guerra tra poveri visto che le risorse derivano dalla cassa in deroga, per la quale ad oggi sono stanziati solo 400 milioni di euro, mentre i sindacati stimano che servirebbero almeno 1,7 miliardi di euro per evitare ulteriori licenziamenti.

La velleità dei propositi del governo è rivelata dal fatto che continua a praticare l’idea che lo Stato si occupi dei nostri concittadini disoccupati a costi invariati. Inoltre il taglio dell’Irap agirà su un sistema d’imprese che mediamente ha un terzo di capacità produttiva inutilizzato ed un taglio, senza condizioni e vincoli, che determinerà il paradosso per cui, ad esempio, a Terni la multinazionale Thyssen potrà ricevere dei cospicui benefici, senza che questo fermi i 550 licenziamenti avviati, lasciando ai lavoratori che da ieri scioperano ad oltranza il compito di difendere il loro lavoro nel nostro paese.

E, dulcis in fundo, la definitiva sostanziale cancellazione del reintegro con l’abolizione dell’articolo 18 rivendicata dal premier, in diretta televisiva, come fine di ogni alibi agli investimenti e alle assunzioni per gli imprenditori, ma non espressa in una delega troppo ampia e fortemente indiziata di incostituzionalità, nella sua intenzione di togliere dignità e valore al lavoro.

Il governo divide il lavoro e i lavoratori, si occupa dei più forti, svuota e cancella diritti. Riduce le tasse ai più forti tra le imprese e aumenta le tasse con i 6 miliardi di tagli a regioni e comuni ai più deboli cittadini e piccole imprese. E allora tocca alla piazza della Cgil e della Fiom, sabato 25 Ottobre a Roma, riunire e ricomporre i soggetti e le soggettività del lavoro, rompendo le solitudini, ricostruendo solidarietà, ridando voce diretta a tutti i lavori e a tutti i lavoratori.

Riunificando le lotte delle tante fabbriche e dei luoghi di lavoro, a partire dalla siderurgia, che respingono le chiusure, che difendendo i posti di lavoro e il Paese: dall’Ast di Terni, alla Nokia di Milano, dall’Agnesi di Imperia a Termini Imerese e alle molte altre aziende che avrebbero bisogno di essere considerate emergenza nazionale ed interessate dall’azione diretta della Presidenza del Consiglio.

È il ritorno di un movimento di lavoratrici e di lavoratori che non si fermerà ad una manifestazione di testimonianza, che può crescere in uno sciopero generale e che già oggi è riuscito a realizzare molti scioperi, spesso anche unitari, e altri ne ha in preparazione per chiedere un radicale cambiamento delle politiche del Governo.

Cambiamento che parta dal superamento dei vincoli di bilancio e dalla messa in discussione del Fiscal compact, che passi dal taglio delle spese militari e da una patrimoniale, che arrivi a mettere insieme risorse pubbliche per un piano del lavoro. Un New Deal che faccia “guerra” alla povertà e alla disoccupazione, che non sia affidato alla carità compassionevole e ad un mercato che dà per ineluttabili la diseguaglianza e la perdita di cittadinanza reale di una parte considerevole di Italiani. In questa battaglia, in questo crogiolo la sinistra può trovare significato, ma soprattutto può essere utile e incontrare persone in carne ed ossa, uomini e donne, giovani e anziani, che oggi non hanno rappresentanza, ma hanno ragioni e possono trovare forza.

Tutto ciò è a portata di mano alla condizione che si metta in campo una credibilità costruita su comportamenti coerenti e sulla continuità, a partire dal fatto che ciò che cammina nelle piazze deve camminare anche nelle aule e nei voti in parlamento.