Quando lo scorso autunno è stata nominata nuova direttrice di Sheffield/Doc Fest Cintia Gil, a lungo alla guida di Doclisboa, tra gli appuntamenti di riferimento per il cinema documentario di ricerca, ha raccolto una scommessa che era già complicata: reinventare un festival con una sua storia e una sua fisionomia. Mentre erano al lavoro, la pandemia ha obbligato il mondo, e anche il Regno unito nonostante la riluttanza del suo premier Boris Johnson – poi anche lui ricoverato per Covid-19 – al lockdown, e il festival a una scelta: andare online o cancellare l’edizione 2020. Se la parte Industry viene presto ripensata per la piattaforma, sul festival Cintia Gil esita, anche perché uno dei punti chiave del suo progetto era proprio il territorio, e i suoi abitanti, la città di Sheffield, nel sud dello Yorkshire, di tradizione operaia, con le sue acciaierie la cui parabola di crisi economica riflette quella di tante altre città in occidente. Così si arriva alla forma finale: un festival che parte domani, online, per arrivare al prossimo autunno con proiezioni in sala – e in piattaforma – perché la realtà attuale non permette certezze. (info e programma: sheffdocfest.com). «Sono curiosa di vedere cosa accadrà nei prossimi mesi, come cambierà la geografia di potere dei festival. La pandemia ha rivelato delle debolezze in tutto il settore del cinema» dice Cintia con cui parliamo al telefono.

Quali sono per te, da direttrice di festival, le criticità e i punti da rivedere in futuro affiorati con la pandemia?
Credo che l’aspetto «romantico» e glamour dei festival si sia perduto a favore del potere sui mercati. Per questo si dovrebbe recuperare ciò che è il cuore della missione di un festival, ovvero mostrare dei film; invece sembra che in una situazione così speciale l’unica preoccupazione sia affermare un potere di mercato. Per capire meglio le evoluzioni dobbiamo aspettare la riapertura delle sale in tutti i Paesi. In Portogallo alcune hanno riaperto, io sono già andata al cinema, a vedere Ritratto di una ragazza in fiamme, la sala era piena nei limiti dei posti consentiti dalle norme di sicurezza. Vedremo come andrà nei prossimi mesi.

Quando avete deciso la formula per questa edizione di Sheffield/Doc Fest?
Dopo il lockdown, in marzo, i festival iniziavano a essere annullati un po’ ovunque oppure sceglievano la soluzione dell’online. Noi abbiamo escluso subito l’ipotesi di un festival interamente in streaming perché le proiezioni fisiche sono una parte importante nel nostro modo di lavorare. Però dovevamo anche progettare un’attività nel caso non fosse stata possibile la riapertura delle sale. Così abbiamo deciso di suddividere il festival in una prima parte online per i mesi di giugno, luglio, agosto e una seconda in presenza, il prossimo autunno, organizzata su due week-end in modo da avere maggiori possibilità nel caso di un nuovo lockdown. Abbiamo dovuto rinegoziare i finanziamenti coi singoli partner e sponsor per capire se questa idea era condivisa, tutti ci hanno sostenuto in modo da garantire la struttura dei lavoratori del festival.

Ci sono delle priorità che hanno guidato le tue scelte?
Per quanto riguarda la programmazione ho cercato di individuare una serie di film importanti per il pubblico della città, all’interno delle visione artistica che vogliamo perseguire. Ci sono ovviamente stati aggiustamenti imposti dalla situazione, ma il progetto artistico e il rapporto col pubblico rimangono essenziali, mi piacerebbe aprire una discussione che tocchi anche aspetti intimi in questo tempo così difficile. Nella selezione online col gruppo di selezione abbiamo privilegiato soggetti che consideriamo importanti per il pubblico di Sheffield e della Gran Bretagna a cominciare dal tema delle diversità culturali, linguistiche, di immaginari. Ci sono 50 paesi rappresentati nel programma che è una dato notevole in un Paese la cui lingua è quella utilizzata per capirsi in tutto il mondo, e che soprattutto ci permette di toccare altri argomenti per noi essenziali, insiti anch’essi nella storia inglese, quali il colonialismo e il post-coloniale. Per esempio: per la sezione Exchange (online e gratuita, ndr), che è orientata al pubblico, abbiamo scelto i film dell’Archivio brasiliano realizzati da popolazioni indigene nei quali la storia del colonialismo si unisce a quella della pandemia come una crisi che dura da secoli visto che sono state realtà devastate anche dalle malattie portate dai colonizzatori. È una sorta di specchio della nostra storia.

Nel programma di quest’anno non c’è il concorso.
Non credo che sia il momento di gareggiare e non ci sono neppure le condizioni per farlo. Da alcuni titoli che avevamo pensato per la competizione sono nate altre cose, come il focus dedicato a Lynne Sachs, il cui nuovo film, Film about a Father Who, sarà mostrato in autunno, mentre ora si vedranno le sue opere precedenti che sono una totale scoperta per gli spettatori inglesi. Nel suo lavoro la questione di come filmare «l’altro» è centrale. Mi sembrava un passaggio importante nella riflessione più ampia sul post-coloniale, tanto più urgente se vediamo cosa sta accadendo in questi giorni nelle piazze americane e di tutto il mondo.

Come sono organizzati gli accessi alla piattaforma per visionare i film? Si discute molto in seguito alle esperienze dei festival online di geolocalizzazione, se limitare al Paese del festival, o se mostrare un film in una sala virtuale con numeri limitati ma aperta a tutto il mondo.
L’intero programma sarà online solo per la Gran Bretagna, i titoli della sessione autunnale saranno accessibili sulla piattaforma solo dopo la prima proiezione in sala, e non tutti, alcuni sono riservati solo al grande schermo perché non adatti a una visione in streaming. La geolocalizzazione è per me fondamentale specie se un film fa la sua prima mondiale a un festival, renderlo accessibile ovunque può bruciare il suo percorso, ci sono regole che impediscono a una serie di festival di presentare film già proiettati sul proprio territorio. Perciò bisogna rispettare le carriere future dei film e proteggerli in ogni modo. È anche vero che la situazione attuale è completamente inedita, perciò le nuove regole sono ancora da scrivere ma per chi come noi ha a cuore i film l’essenziale rimane sempre difenderli.