«È scandaloso che il Pd, il partito di maggioranza di governo, faccia campagna per l’astensione. Ma devo dire che ce lo aspettavamo: è coerente con il voto allo Sblocca Italia, ma anche con l’emendamento sulla privatizzazione dell’acqua di qualche giorno fa. Più in generale però siamo preoccupati per come l’informazione sta coprendo il referendum sulle trivelle: è del tutto inadeguata, tanto che abbiamo sollecitato maggiore impegno e spazi alla Rai». Mirella Liuzzi, deputata Cinquestelle, fa parte della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, ma è anche componente della Commissione di Vigilanza Rai. Inoltre è lucana, di Tricarico, nel materano: quindi segue da anni le battaglie dei No triv, molto radicate in Basilicata.

Il fatto che il Pd sposi l’astensione dunque non vi ha stupito.

Come ho detto, se dobbiamo guardare alle posizioni prese negli ultimi anni, era assolutamente prevedibile. Tra l’altro il decreto Sblocca Italia, che già prevedeva l’implementazione delle trivelle su terraferma ed è probabilmente peggiore della legge su cui voteremo il 17 aprile, fu approvato anche da Roberto Speranza, che oggi chiede chiarimenti al suo partito sull’astensione al referendum. In pratica il Pd ci sta dicendo che in tv spingerà i cittadini a non andare a votare, quando il referendum è uno strumento fondamentale di democrazia diretta previsto dalla Costituzione. Lo stesso partito che si presentò alle elezioni del 2013 sotto l’insegna dell’Italia bene comune, e che d’altronde solo tardivamente, con Pierluigi Bersani, nel 2011 scelse di sostenere il referendum per l’acqua pubblica.

Vedete un filo rosso con il voto sull’acqua di qualche giorno fa in Commissione Ambiente?

Le due decisioni sono molto vicine nel tempo. Con un emendamento del Pd si è deciso di riaprire le porte ai privati nella gestione dei servizi idrici. Da un lato si tradisce lo spirito di un referendum votato da 27 milioni di cittadini, e dall’altro si punta a boicottare quello prossimo venturo. Forse sarebbe stato più coerente fare campagna per il No, ma è chiaro che puntano a non far raggiungere il quorum. D’altronde in questi ultimi anni non è stata varata una sola legge per rendere l’Italia indipendente dalle energie fossili. Al contrario, la presidente della Camera Laura Boldrini ha dichiarato che è importante coinvolgere i cittadini e portarli a votare.

Raggiungere il quorum sembra difficile. Al di là degli auspici, voi cosa prevedete?

Comunque vada è intanto importante che di questi temi si parli pubblicamente. Dopo la Conferenza di Parigi, e in un periodo in cui il prezzo del petrolio è in calo, è fondamentale che si parli di ambiente, di clima, di trivelle: il referendum non è solo un momento di voto, ma è anche un’occasione di informazione e di crescita per l’opinione pubblica. Proprio per questo recentemente abbiamo spinto la Rai a parlarne di più.

Perché, finora ha fatto poco?

Abbiamo scritto una lettera al direttore editoriale Carlo Verdelli, lamentando un livello di informazione inadeguato. Ci ha risposto che non ritiene sia così, e che anzi ci sono spazi di approfondimento come Unomattina: ma proprio ieri (l’altroieri per chi legge, ndr), il conduttore della trasmissione ha detto che si voterà solo in 9 regioni, tanto che abbiamo dovuto chiedere, e abbiamo ottenuto, una rettifica. Devi monitorare ogni programma, come un segugio. Ancora: lo schema di tribune elettorali che ci era stato presentato in Commissione di Vigilanza non rispettava i parametri della delibera che avevamo approvato: così ultimamente la Rai ha dovuto correggere verso l’alto il numero, passando da 9 a 13 tribune in tutto il periodo da qui al 17 aprile, e una parziale correzione è stata fatta anche sui palinsesti, spostando alcune tribune dalla mattina alla collocazione successiva ai tg di maggiore ascolto.

Il resto della stampa come si sta comportando?

La copertura è ancora insufficiente, tanto che anche le associazioni stanno cercando di farsi spazio. Come Cinquestelle, abbiamo ottenuto da Agcom e Corecom regionali degli spazi autogestiti sulle televisioni locali.

Voi fate campagna per il Sì. Non temete che, in caso di vittoria, si perdano posti di lavoro nel settore e che dovremo comprare energia dall’estero?

Innanzitutto va sempre chiarito che il referendum non riguarda le trivelle di terraferma, e neanche quelle offshore oltre le 12 miglia marine. Riguarda solo quelle sul mare entro le 12 miglia. I posti di lavoro non verrebbero, nel caso, persi a breve: perché se vincesse il Sì, si prevede soltanto che non vengano prorogate le attuali concessioni, che però arriverebbero comunque a naturale scadenza, da qui a 5 o a 10 anni. C’è tutto il tempo per organizzare questa transizione. Inoltre, le trivelle coinvolte assicurano quantità pari all’1,5%-3% del fabbisogno nazionale di gas e allo 0,9% del petrolio. Volumi facilmente compensabili con fonti alternative.