Cade tra pochi mesi il quarantennale dell’uccisione di Pier Paolo Pasolini, e si addensano le occasioni per ricordarlo. L’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico non si sottrae al compito, ma mette insieme cinque studi unificati dal titolo Pier Paolo Pasolini Poeta delle ceneri. Chiamando a dar vita al progetto allievi e diplomati dei corsi di recitazione, regia e drammaturgia, e affidandone il coordinamento a Giorgio Barberio Corsetti (che da parte sua aveva inventato il commovente incontro drammaturgico sul campo di calcio di Rieti, qualche mese fa).

 
I testi prescelti non sono facili né scontati. In una sorta di percorso attraverso i locali della Pelanda al vecchio Mattatoio di Testaccio, scorrono ed esplodono le parole di Bestia da stile, Porcile, Orgia, del Manifesto per un nuovo teatro, Carne e cielo. Cinque pezzi, tutti «tosti», tutti affacciati sull’abisso di una realtà che non è più quella di prima, ma che non si rende conto del suo essere adesso. Quasi cinque «variazioni sul tema», di cui cambia continuamente l’angolo visuale, che passa dallo scenario socio politico a quello della famiglia e poi della coppia, ma che trova il suo perno ineludibile nella consapevolezza dolorosa del poeta, vissuta e pulsata sulla propria sessualità. Con la leggera diversione del Manifesto per il teatro, dove il pensiero si fa strumento di una nuova rappresentazione in un nuovo contesto.

 
I giovani artisti che rendono possibile l’excursus dimostrano già una notevole maturità (e non mancano volti già noti e affermati, come Massimo Odierna in Porcile), ma l’elemento che fa impressione fino a commuovere, è la forza, quasi il desiderio di appropriazione, di quelle parole da parte di una nuova generazione. Sulle cui labbra acquistano bagliori quasi nuovi, sicuramente contemporanei, di maggiore comprensibilità forse, e insieme di maggiore, funebre disperazione, per l’avverarsi di molti dei pericoli che da quelle pagine tanti anni fa si affacciavano inquiete.