Prove di convergenza tra Movimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà e la minoranza Pd guidata da Roberto Speranza per definire insieme una proposta di legge unificata sul reddito minimo garantito al Senato. Ieri a Roma, nella sala dei gruppi della Camera, su invito dei promotori della campagna per un «reddito di dignità», Libera di Don Ciotti e il Basic Income Network-Italia, Alessandro Di Battista ha garantito la «massima disponibilità del movimento per formulare una versione unica del Ddl in discussione in commissione Lavoro al Senato. Il reddito è una misura economicamente fondamentale anche per rilanciare la domanda interna, creare posti di lavoro e contro il voto di scambio».

«Sel ritiene che un’intesa con il Movimento Cinque Stelle,e con le forze presenti in parlamento, sia non solo possibile ma necessaria contro la povertà e la precarietà. Necessaria è una legge che esiste in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia» ha risposto Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel.

Nei prossimi giorni inizieranno i lavori di un comitato ristretto composto dagli esponenti politici presenti in commissione. Obiettivo: arrivare a settembre pronti per calendarizzare il provvedimento in Senato. «Lavoreremo affinché al massimo entro due mesi arrivi in aula la proposta di legge sul reddito» ha detto Nunzia Catalfo, prima firmataria della proposta dei Cinque Stelle. «Da mesi – ha aggiunto Loredana De Petris, presidente Sel del gruppo Misto al Senato – chiediamo la calendarizzazione nella capigruppo, senza però ottenerla, a differenza di quanto è avvenuto per altri provvedimenti come quello sulla scuola che è andato in aula senza relatori. Il presidente Grasso si assuma le sue responsabilità».

I principi base sono quelli elencati dalla campagna per il «reddito di dignità» che svolge un prezioso ruolo di raccordo e mediazione tra le forze politiche e la società: «L’individualità dell’erogazione del reddito e non su base familiare – spiega Sandro Gobetti del Bin-Italia – La residenza, e non la cittadinanza italiana, per non escludere i cittadini stranieri dal beneficio di una misura universale; la congruità dell’offerta di lavoro rispetto alla formazione e alle competenze dei beneficiari. Questa è la principale differenza con una legge per i poveri e il paletto fondamentale contro l’esagerata condizionatezza delle misure che spingerebbero molte persone a non presentare domanda per evitare di essere sanzionati e puniti. Alla base bisogna riconoscere e valorizzare la persona, evitando di farla vivere sotto nuovi ricatti».

«Al contrario di quanto pensa il presidente del Consiglio Renzi – ha aggiunto Giuseppe De Marzo, coordinatore della campagna «Miseria Ladra» di Libera – il reddito minimo garantito è costituzionale che rispetta gli articoli 3, 36 e 41 della Costituzione, oltre che la Carta di Nizza. Il suo principio è la dignità dell’uomo e della donna, un concetto che dovrebbe essere al centro delle politiche economiche e sociali ma viene messo a rischio dai dogmi dell’austerità». Come finanziarlo, considerato che secondo l’Istat la proposta dei cinque Stelle «costa» oltre 14 miliardi annui e quella di Sel oltre 23?

«Con la fiscalità generale, i tagli alle spese militari, il recupero dell’evasione fiscale, la soppressione delle deroghe su appalti e grandi opere – ha risposto in maniera veemente Don Ciotti nel suo intervento – Il reddito di dignità non è una misura assistenziale. è una misura di giustizia sociale e anche un investimento nella speranza del paese». A Renzi, che ha liquidato il reddito «perché la sinistra dà lavoro» (con il Jobs Act, s’intende) Don Ciotti ha risposto: «Belle parole, ma nel frattempo cosa diciamo ai poveri e ai disoccupati, a chi vive in strada e razzola nei cassonetti? Ci vuole il reddito». La direzione è presa, e sembra che si voglia procedere spediti verso una misura universalistica, e non assistenzialistica per i poveri.

A quella potrebbe pensarci il governo adottando il «Reis», o una sua parte, uno strumento sponsorizzato tra gli altri dai sindacati Cgil, Cisl e Uil e dalle Acli.