Fuoco dei soldati israeliani che hanno ucciso ieri altri giovani dimostranti in Cisgiordania e a Gaza e fatto salire a circa 40 il bilancio di palestinesi uccisi dal 1 ottobre (7 gli israeliani uccisi nello stesso periodo). Fuoco dei dimostranti a Nablus che nella notte tra venerdì e sabato hanno incendiato una parte del sito religioso ebraico della Tomba di Giuseppe. L’incendio dell’Intifada di Gerusalemme è divampato di nuovo ieri avvolgendo i Territori palestinesi occupati da Israele da quasi 50 anni. E quando si parla di fuoco non si può dimenticare quello doloso che, alla fine di luglio, alcuni israeliani appiccarono in Cisgiordania alla casa della famiglia palestinese Dawabsha e che bruciò vivo Ali, 18 mesi, e uccise nelle settimane successive i suoi genitori, Saad e Riham, rimasti ustionati su tutto il corpo. Assassini che il ministro della difesa Moshe Yaalon, come lui stesso ha detto qualche settimana fa, sono noti alle autorità militari ma non sono stati arrestati «per non esporre un informatore». Ben più rapide e determinate appaiono le forze di sicurezza israeliane quando sono chiamate ad individuare i palestinesi responsabili di attacchi e violenze.

 

L’attenzione in queste ore è sulle fiamme, innescate da lanci di bottiglie Molotov, che hanno avvolto il sito ebraico della Tomba del profeta Giuseppe nella città palestinese di Nablus. Le fiamme sono state spente relativamente presto dopo l’intervento delle forze di polizia dell’Anp, che hanno disperso i dimostranti. Il fuoco ha però provocato danni importanti, in particolare all’area a disposizione delle donne. Il presidente dell’Anp Abu Mazen ha condannato subito e con forza l’attacco, annunciando un’indagine sull’accaduto. «Esprimiamo il rifiuto assoluto di questi atti illegali, offese alla nostra cultura, religione e morale», ha detto. Le sue parole non sono servite a placare le proteste del governo israeliano. Il ministro Uri Ariel, uno più nazionalisti, ha detto che «gli stessi palestinesi, mentre mentono sfrontatamente quando denunciano un asserito cambiamento da parte nostra dello status quo nel Monte del Tempio (Spianata delle Moschee, ndr), a loro volta profanano e bruciano un luogo sacro all’ebraismo». Per il direttore del ministero degli esteri Dore Gold le molotov lanciate dai dimostranti palestinesi richiamerebbero alla mente «le azioni dei gruppi estremisti musulmani in Aghanistan e Libia». A suo dire l’accaduto dimostrerebbe «cosa succederebbe se i luoghi sacri a Gerusalemme fossero nelle mani della leadership palestinese».

 

Da anni la Tomba di Giuseppe è motivo di scontro fra israeliani e palestinesi. Si tratta di un santuario venerato sia dagli ebrei sia dai musulmani. Al suo interno, sotto a una grande pietra, secondo una tradizione di epoca bizantina, riposerebbero le spoglie di Giuseppe, figlio di Giacobbe e di Rachele che, nel racconto biblico divenne un influente consigliere del Faraone d’Egitto. Giuseppe in punto di morte, sempre secondo le tradizioni religiose, espresse la volontà di essere sepolto nelle terre della famiglia a Sichem, l’odierna Nablus, cosa che Mosè ordinò di fare quando gli ebrei fuggirono dall’Egitto. Dopo l’occupazione militare israeliana della Cisgiordania palestinese, il sito è stato frequentato di nuovo da fedeli ebrei, in prevalenza coloni che vi hanno aperto un collegio rabbinico. Quando Nablus, con gli accordi di Oslo, ottenne lo status di città autonoma, la Tomba rimase aperta al culto ebraico. Tuttavia, ad ogni grave tensione, come in questi giorni, è stata al centro di scontri, anche sanguinosi. In particolare nel 1996, per due volte nel 2000 e poi nel 2002 quando Israele e Anp decisero che la Tomba di Giuseppe sarebbe stata visitata da gruppi di ebrei una volta al mese con la scorta dell’Esercito.

 

L’attacco al sito religioso ha oscurato quanto accadeva a Gaza e a Cisgiordania e a Gerusalemme Est dove l’esercito e le forze di polizia di Israele hanno risposto sparando alle manifestazioni organizzate per il “Giorno della collera” proclamato dal movimento islamico Hamas e da altre organizzazioni e partiti palestinesi per tenere viva l’Intifada cominciata a inizio ottobre. Il bilancio, fino a ieri sera, era di quattro palestinesi uccisi, uno dei quali, Eyad Awawdeh, 26 anni, ha tentato di accoltellare un soldato a Kiryat Arba, una colonia ebraica a ridosso di Hebron. Secondo le testimonianze Awawdeh indossava una pettorina con scritto “Press” (Stampa) e si sarebbe finto fotografo per non destare sospetti. Di due vittime, Yahiya Farhat, 24 anni, e Mahmoud Hmeid, 22 anni, e oltre 100 feriti invece è il bilancio degli spari dei soldati israeliani su decine di giovani di Gaza che avevano aperto una breccia nella recinzione tra la Striscia e Israele. Ieri inoltre è morto in un ospedale di Gaza Shawqi Obeid, 37 anni, ferito la scorsa settimana dai soldati israeliani durante una manifestazione simile a quella di ieri. A Beit Furik (Nablus) i militari hanno sparato contro un manifestante, Jihad Hanani, uccidendolo sul colpo.