Cinque operai di nazionalità cinese sono stati rapiti nel corso di un attacco armato a una miniera d’oro nella provincia del Kivu del Sud, nella Repubblica democratica del Congo (Rdc). È stata l’ambasciata cinese di Kinshasa a dare la notizia del sequestro, avvenuto in un sito minerario dato in concessione a una società di Pechino, la Bayond Mining, in località Mukera, nel territorio di Fizi. Un gruppo di uomini armati avrebbe attaccato la miniera nel cuore della notte, uccidendo un poliziotto congolese e ferendone un secondo.

La società cinese ha iniziato l’estrazione da pochi mesi, ma non senza problemi legati alle proteste della popolazione locale per il mancato rispetto delle concessioni delle licenze e le accuse di distruzioni ambientali. Il lavoro estrattivo era poi partito, ma la zona continuava a essere considerata ad alto rischio per i lavoratori cinesi.

DOPO QUESTO RAPIMENTO, l’ambasciata della Repubblica popolare cinese ha invitato tutti i suoi cittadini ad abbandonare la regione immediatamente. Per il momento le forze armate locali e la polizia non hanno rilasciato dichiarazioni sui possibili esecutori del rapimento, limitandosi a definirli come un gruppo di banditi armati.

L’est della Rdc resta un’area di grande instabilità, dove il governo centrale ha indetto lo Stato d’Emergenza affidandone la gestione ai militari. Nel triangolo formato da Kivu del Nord, Kivu del Sud e Ituri secondo il Kivu Security Tracker agiscono circa 130 milizie che, approfittando della totale assenza dello stato centrale, rapiscono, uccidono e stuprano la popolazione locale da decenni.

QUESTE MILIZIE creano delle sacche di auto-governo e prendono possesso anche di siti minerari, finanziandosi attraverso il contrabbandano delle materie prime negli stati confinanti.

Nel Kivu del Nord agiscono gli islamisti ugandesi delle Adf (Forze alleate democratiche) che vogliono rovesciare il governo di Kampala e le Fdlr hutu dei ricercati per il genocidio del Ruanda del 1994, mentre nella provincia meridionale del Kivu ci sono miliziani burundesi nemici del governo di Gitega e moltissimi gruppi guerriglieri Mai-mai, milizie nate come autodifesa dei villaggi e trasformatesi in piccole signorie locali della guerra.

IL PRESIDENTE CONGOLESE Felix Tshisekedi aveva da pochi mesi rinegoziato gli accordi con la Cina che erano stati firmati dal suo predecessore Joseph Kabila, un affare da 6 miliardi di dollari. Tshisekedi ha inoltre bloccato la concessioni di nuove licenze minerarie finche non ci sarà stata una verifica del registro minerario, nel tentativo di fermare lo sperpero e le frodi da parte di funzionari nel comparto delle materie prime, dove lo stato africano negli anni ha perso miliardi. Tutte le compagnie che non rispetteranno gli obblighi imposti dal governo vedranno le proprie licenze revocate.

L’est e il sud della Repubblica democratica del Congo sono ricchissimi di materie prime soprattutto dell’ormai celebre coltan e del cobalto, determinante per le batterie della auto elettriche, un mercato che la Cina si è quasi completamente accaparrato. Un enorme giro d’affari che ha scatenato una vera e propria “corsa all’oro”.

NEGLI ULTIMI MESI la tensione è cresciuta anche intorno ai siti minerari del Kasai, dopo che in luglio 12 persone erano morte e migliaia si erano ammalate a causa degli scarichi di una miniera di diamanti di proprietà angolana nel fiume Kasai, nel quale galleggiavano centinai di pesci morti e le acque erano diventate di colore rosso.