Probabilmente è più un caso che una precisa strategia, come molto spesso nelle cose del Movimento 5 Stelle, fatto sta che i riferimenti alla Rivoluzione francese sono ricorrenti: i parlamentari vogliono farsi chiamare semplicemente «cittadini» e a più riprese Beppe Grillo aveva promesso una «rivoluzione» ma «senza ghigliottina». Non è andata esattamente così. Mentre le ultime due teste (virtualmente) mozzate dei «cittadini» Paola Pinna e Massimo Artini, rotolavano nei social netowrk assieme ad un diluvio di polemiche e alla clamorosa protesta dei dissidenti davanti alla villa al mare del Grande Capo, ecco che arrivava l’ennesima citazione rivoluzionaria.

Grillo ha nominato un comitato di gestione del Movimento composto da cinque persone. Lo chiamano tutti da subito «direttorio», esattamente come l’organismo che prese il comando della Rivoluzione francese all’indomani del crollo di Robespierre e della fine del terrore giacobino. In verità, «direttorio» non è farina del sacco di Grillo. Ad evocare per primo un siffatto organismo è Marco Travaglio, giornalista molto vicino alle corde grilline, dalle colonne del Fatto Quotidiano. Il tempo di leggere il suo editoriale che sul blog del comico genovese compare un testo di quelli destinati a lasciare il segno. È vergato in prima persona e annuncia l’ennesimo plebiscito digitale. «Io, il camper e il blog non bastiamo più – scrive Grillo – Sono un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump. Quindi pur rimanendo nel ruolo di garante del M5S ho deciso di proporre cinque persone, tra le molte valide, che grazie alle loro diverse storie e competenze opereranno come riferimento più ampio del M5S in particolare sul territorio e in Parlamento». I cinque membri del direttorio sono tutti parlamentari considerati molto vicini al «cerchio magico» degli uffici della Casaleggio Associati. In prima fila figurano i due golden boy del Movimento: il romano Alessandro Di Battista (noto ai più per aver proposto di trattare con l’Isis, ammettendo poi di aver confuso lo Stato islamico con Hamas) e Luigi Di Maio da Pomigliano (vicepresidente della Camera che scalpita per entrare nella politica politicante). Ci sono poi il presidente della Commissione Vigilanza Rai Roberto Fico, la napoletana Carla Ruocco e il complottista ossessionato dal gruppo Bilderberg Carlo Sibilia. Stando alle cifre fornite dagli amministratori del sito di Grillo, il 91,7% degli iscritti certificati (pari a 34050 votanti) ha approvato la scelta. Prima di ammettere di esser «stanchino», dicevamo, Grillo aveva affrontato la protesta di qualche decina di attivisti davanti al cancello della sua casa in Toscana. Aveva ascoltato l’allarme della sua gente: «Beppe, così ci schiantiamo». E aveva risposto con sincerità spiazzante, lasciando disarmati i suoi interlocutori e confermando una curiosa idea di democrazia difitale: «Non è vero che siamo in calo, i clic sul sito sono in aumento». Poi la decisione di cedere sovranità a un manipolo di fedelissimi, che ha generato malumori. Più di un commentatore ha tirato fuori l’articolo 4 del «Non Statuto», dove si spiega che il Movimento 5 Stelle è uno spazio di scambio di libere opinioni che non ha strutture di partito e che prende decisioni «senza la mediazione di organismi direttivi». Tra i deputati critici, anche Alessio Villarosa, ritenuto fedele alla linea grilliana e presidente di turno del gruppo alla Camera: «Così snaturiamo tutto, sono scioccato», ha scritto su Facebook. La gran parte degli oltre cento «parlamentari per caso» grillini non è nota al grande pubblico, si muove un po’ spaesata, spesso non ha una struttura solida sul territorio cui fare riferimento e fino ad oggi ha accolto le decisioni del vertice. Qualcuno inizia ad alzare la testa. «Se dovesse vincere il sì – annuncia ad esempio prima dell’esito del tele-voto Daniele Pesco, eletto in Lombardia – io mi dimetto. Sono tutti miei cari amici, ma il Movimento 5 Stelle non è questo. Non siamo un partito. L’abbiamo sempre detto. Non abbiamo bisogno di un direttivo». Si esprime duramente anche il comunicatore Claudio Messora, fino a qualche settimana fa considerato uomo forte del M5S, spedito da Roma al gruppo Ue e poi rimosso anche da Bruxelles. Anche Claudio Messora, un tempo considerato il numero 3 del Movimento, è caustico: «Grillo cerca di formare una vera e propria segreteria di partito, un direttorio a 5 stelle scelto da lui, e chiede alla rete di ratificare la sua scelta. Dove sono i senatori? Dove sono gli eurodeputati? Dove sono le donne? Dove vengono specificati ruoli, poteri e durata del mandato?», scrive Messora.

In serata, dopo un’altra giornata piena di colpi di scena, a Roma si celebrava l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari. Tirava un’aria da resa dei conti, ma difficile che un organismo tanto magmatico possa prendere decisioni da un momento all’altro. «Più che scissione, forse, sarà un lungo addio», dice qualcuno infilandosi nella riunione.