“Ci sono violazioni accertate così gravi e dannose, che non c’è da chiedersi quali norme siano state infrante ma quante ne siano state rispettate”. L’osservazione del gip Angela Fantechi, racchiusa nell’ordinanza con cui dispone gli arresti di cinque persone per la strage di inizio dicembre al Macrolotto pratese, fotografa al meglio quanto accertato da squadra mobile e finanzieri dopo il rogo costato la vita a sette operai cinesi. Di più: il giudice ha accolto la richiesta del pm Lorenzo Gestri di arresti domiciliari per i due titolari dell’immobiliare proprietaria del capannone incendiato, la Mgf dei fratelli Giacomo e Massimo Pellegrini, e di sequestrare a scopo preventivo un altro loro immobile, per un valore stimato di circa 200mila euro. Almeno per l’area pratese si tratta di una assoluta, positiva novità.

“E’ stato possibile – spiega Lorenzo Gestri – perché siamo stati in grado di comprovare che i soci dell’immobiliare erano consapevoli della situazione che c’era all’interno del capannone, e abbiamo ricostruito da quando”. Circa due anni. Con un affitto più alto del normale perché mancavano le condizioni di sicurezza, osserva a sua volta il procuratore capo Piero Tony: “La società ha in città altri sei, sette immobili. Erano stati controllati prima dell’incendio, e all’interno erano già state trovate irregolarità. Uno degli immobili è stato controllato dopo l’incendio, e anche in questo caso non tutte le regole erano rispettate. Questi provvedimenti sono il frutto di un salto culturale, e un passo importante nelle indagini”.

Gli investigatori della mobile e i finanzieri, se possibile, sono ancora più duri. Le loro indagini hanno permesso di scoprire che i fratelli Pellegrini, ben conosciuti in città, “avevano piena consapevolezza degli abusi edilizi realizzati nei locali, nonché delle condizioni illecite di uso promiscuo, industriale e abitativo, e della totale assenza delle benché minime condizioni di sicurezza”. Nel capannone di via Toscana, affittato a 2.600 euro al mese alla “Teresa Moda”, gli operai cinesi lavoravano “anche 14-16 ore al giorno, anche in orario notturno, senza alcuna previsione di riposo settimanale”. Una fabbrica-casa, come se i due secoli trascorsi dalla rivoluzione industriale non fossero esistiti, dove uomini, donne e bambini vivevano “in soppalchi in legno e cartongesso, in totale assenza delle pur minime condizioni di sicurezza in materia di infortuni e antincendio”.

I reati ipotizzati nelle cinque ordinanze di custodia cautelare decise dal gip Fantechi sono l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, aggravata dal disastro; l’incendio colposo aggravato; l’omicidio colposo aggravato plurimo e, in tre casi, il favoreggiamento aggravato a fini di profitto della permanenza di irregolari sul territorio dello Stato. Insieme ai fratelli Pellegrini sono stati arrestati i tre cinesi che erano a capo dell’azienda. Anche se utilizzava un prestanome, Lin You Lan, 42 anni, era la proprietaria di “Teresa Moda”, occupandosi dell’amministrazione e dei rapporti con clienti, fornitori e proprietari dell’immobile. Mentre la sorella Lin Youli Lan, 39 anni, e il marito Xu Xiaoping, 40 anni, vivevano nel capannone – con il figlio di soli 4 anni – per gestire l’attività e coordinare il lavoro degli operai. Gli investigatori hanno anche scoperto che le due donne stavano per riprendere il lavoro. Un’altra ditta di pronto moda. Sempre nella zona industriale della città e, al solito, con un prestanome.