In Ben Zaken (presente nella sezione Forum), opera prima della israeliana Efrat Corem, la regia femminile regala all’intero film, la storia di un padre e di una bambina soli, uno sguardo lucido e passionale, duro e al medesimo momento morbido che porta a pensare ad una matrice autobiografica. Il film apre sua una inquadratura in primo piano in movimento violentissimo: il volto particolare di Ruhi, una bambina di dieci anni (capiremo poi che viene trascinata dai piedi sul terreno sabbioso), una Frida Khalo mediorientale con monosopracciglia nerissimo, labbra sottili, sguardo profondo.

Voci di bambini fuori campo la insultano in malo modo, deridendo il suo aspetto fisico, sottolineando la sua inferiorità attraverso un viso diverso dagli altri (invece fascinoso e intrigante). La bambina non subisce, reagisce, si divincola, sputa mentre le buttano in faccia un secchio pieno d’acqua. Ruhi vive con Shlomi, padre magro e disoccupato con le spalle curve e gli occhi bassi che fuma in continuazione. Le loro vicende sono tristi, orgogliose, sconfortanti. La famiglia mono genitoriale è difficile, la società è complicata, la vita dura. Ma il rapporto tra loro ha il dono di una tenerezza speciale possibile solo tra padre e figlia.

L’unica scena di sesso presente nel film è unilaterale, con un tocco di sadomasochismo, verbale più che fisico, e avviene tra due personaggi collaterali alla storia principale. Un uomo infelice sfugge una giovane donna infelice, possibile orfana. Lui sa di essere molto desiderato da lei, la rifugge la maggior parte del tempo ma quando la vede scendere dalla macchina di uno sconosciuto («chi è Alex?») scatta in lui una banale rivalsa di conquista e le pratica un sesso stradale aggressivamente punitivo. Una scena brutale, che colpisce.
Sesso sesso sesso, son tre giorni che, tra le altre immagini forti, vedo sesso. Sesso pulito, sensuale, virginale. Sesso aggressivo, vestito, usato. Pelli dettagliatissime, pori e peli in evidenza, liscezza immaginabile, leccate, baci profondi, di gioia, di conoscenza, qualcheduno d’amore. Più spesso sesso tra stessi appartenenti allo stesso genere sessuale, scuotersi di bacini, scontri e incastri di similitudini, viaggi iniziatici, prime volte. Alcuni registi che si accingono ad affrontare la prima esperienza cinematografica nel lungometraggio inseriscono una scena di prima volta sessuale. Se sia una scelta dovuta o inconscia non mi è dato sapere.

Piuttosto un curioso pensiero mi è arrivato ad un tratto in sala vicino ad altri che vivevano la mia stessa visione: che sia dunque proprio il nostro corpo, bello o brutto, giovane o vecchio, magro o grasso che potrà ancora salvarci da questo declino orrorifico di guerra e dolore, violenza e povertà? Che il piacere provato dal corpo, il potere energetico che sviluppa attraverso l’espressione fisica non possa diventare così forte da distruggere qualsiasi altra cosa? Non potrebbe essere questo che, in fondo, tutti questi registi emergenti vogliono gridare al mondo? Chissà. Intanto, lo dico io per loro: andate e copulate tutti. E così sia. (Filmografia: Beira-mar, Felipe Matzembacher, Brasile; El incendio, Juan Schnitman, Argentina; Sangailé, Alanté Kavaité, Lituania; Ixcanul, Jayro Baustamante, Guatemala; Ben Zaken, Efrat Corem, Israele)