I registi del Cinema Novo brasiliano li abbiamo incontrati in alcune edizioni del festival di Pesaro quando Lino Micciché e Bruno Torri, dopo una storico incontro a Santa Margherita Ligure organizzarono memorabili edizioni di cinema latinoamericano. Alcuni di loro erano arrivati in Italia in esilio come Glauber Rocha e Paulo Cesar Saraceni. In seguito nei cineclub e nei cinema d’essai degli anni Settanta per il pubblico erano diventati familiari come il Grand Canyon o le praterie dei western il sertão, le grandi pianure popolate di poveri contadini, banditi e giustizieri. Dalle manifestazioni del ’68 si passava direttamente in sala ad allargare la prospettiva politica al terzo mondo (che ormai si sapeva bene, terzo non in ordine di importanza), insieme a tutti i grandi capolavori delle nouvelles vagues di quegli anni, come in un grande lavoro collettivo di trasformazione da ogni parte del mondo.
Il Dio nero e il diavolo biondo, Antonio das Mortes di Glauber Rocha esplodevano sullo schermo con personaggi e storie di soprusi e violenza, tentativi di riscatto, sicari e santoni, I fucili di Ruy Guerra dove militari difendevano il cibo assediato dalla popolazione di Milagres ridotta alla fame, Vidas Secas di Nelson Pereira dos Santos che apriva una finestra sulla letteratura del paese nel racconto dell’esodo di una famiglia dalle zone di siccità dell’interno del paese verso la speranza di una vita migliore. Molti di quei registi si trovarono poi in Italia esiliati dalla dittatura, come Glauber Rocha che con Gianni Amico (a cui si deve la storica manifestazione di cinema Latinoamericano a Santa) realizzò Il Leone a tre teste, come Paulo César Saraceni (di origini lombardo toscane) che anche nel gruppo sembrava giocare quel ruolo di attaccante come fece nel calcio (riserva di Vavà), Joaquim Pedro de Andrade «che proiettò la camera verso la gente».
Ora arriva nelle sale dal 5 marzo Cinema Novo (Cineclub distribuzione), il film di Eryk Rocha, classe 1978, figlio di Glauber scomparso nell’81, studi alla scuola di San Antonio de los Baños a Cuba, ora la montaggio del lungometraggio Mirage, autore del film d’esordio Rocha Que Voa nel 2002, sull’esilio del padre a Cuba dal ’71 al ’72 dove il regista propone un cinema come strumento politico per la unità latinoamericana.
Cinema Novo è un perfetto esempio di critofilm, film saggio dove ripercorrere tutto il clima di quell’epoca, rivedere i protagonisti nella loro euforica lunga stagione (1962-1969), ma anche una meravigliosa esperienza di cinema, dal montaggio frenetico come la musica, dove ogni frammento può aprire sterminati orizzonti (mentre nasceva il Cinema Novo Joao Gilberto inventava la Bossa nova). Come il Cinema Novo voleva far scoprire ai brasiliani la realtà del Brasile, così questo film ci fa riscoprire la meraviglia del cinema, la voglia di cinema.
«Una camera in mano e un’idea in testa» la celebre frase fondativa del movimento si espande a dismisura come fecero i registi in tutto il territorio brasiliano ancora sconosciuto sia ai brasiliani stessi che agli schermi. Lontano dagli studi che all’epoca producevano per lo più le «chanchadas» le commedie (che divennero poi proprio come in Italia «pornochanchadas» di distrazione di massa) ecco che con la luce naturale e la camera a mano si scoprono luoghi, si mettono in luce situazioni di sottosviluppo, povertà e soprusi, una violenza insita nella società ed anche poesia sfrenata e sogno trasferito sullo schermo, letteratura e invenzione, il sacro e il profano. Il film nostra come il movimento fosse unito dall’amicizia e dalla collaborazione così nella moviola come nella vita, in situazioni di confronto dialettico come sul campo di calcio, al tavolo da ping pong, e dal punto di vista teorico. Si segnalano delle precise linee di tendenza: il radicale rosselliniano come Saraceni, il fordiano Walter Lima jr, l’esenstejnian Leon Hirszmann, il neorealista Nelson Pereira dos Santos.
Della complessa storia del cinema brasiliano si coglie l’attività di Humberto Mauro come padre fondatore (Ganga Bruta, 1933), riscoperto in rassegne nel 1952 in un clima di grande fermento culturale, mentre sorge Brasilia, il proletariato urbano si trasforma, sorgono movimenti sociali e studenteschi, il partito comunista è illegale ma la sua attività tollerata. E Nelson Pereira dos Santos gira Rio 40 gradi (1955) prima proibito poi accettato, diventa «un faro». «Il film era rivoluzionario, ha sovvertito i principi della produzione» scrisse Rocha che sosteneva con altrettanta forza che prima di fare film bisognava sviluppare la consapevolezza politica. Un elemento molto interessante del film è che Eryk Rocha non dà una posizione dominante al padre (lo spiega nell’intervista) che pure si può considerare uno dei principali teorici del gruppo, mantenendo il significato collettivo del movimento: il film ci riporta vivissimi i registi nel loro momento di gloria e di premi collezionati nei grandi festival, di vittoria delle istanze degli anni Sessanta: Rocha che sintetizza complessi fermenti, Saraceni che in una frase conferma il volo magico compiuto («Visconti mi chiamò a fare l’assistente di A casa assassinada, gli risposi che avrei fatto io la regia»), Nelson a cui guardare con rispetto («era calmo e inquietante»), Gustavo Dahl, Hirszmann e Carlos Diegues, de Andrade, l’autore tra l’altro di Garrincha alegria do povo che ancora rimuginava sul suo O padre e a moça. Cinema Novo con grande sapienza di montaggio sa mettere in scena senza bisogno di parole il momento della fine del movimento, la separazione avvenuta al momento della dittatura più violenta, solo una questione di alternanze che rendono palpabile e drammatica l’epoca dell’esilio. All’inizio il film corre a perdifiato, nel climax diventa un’esplosione. Ci resta la percezione di una energia che non si può spegnere.

 

 

INTERVISTA

>Della dirompente epoca del Cinema Novo Eryk Rocha figlio di Glauber Rocha, uno dei più famosi esponenti di quel movimento, ha realizzato un film che farà rivivere non solo molti dei suoi tanti protagonisti ma anche lo spirito rivoluzionario che li ispirava.
È vero che non c’erano film sul Cinema Novo?
C’era solo il film di Joaquim Pedro de Andrade fatto negli anni ’70 per la televisione tedesca, un documentario di mediometraggio di 30 minuti, realizzato con uno stile molto diretto da reportage.
Il tuo, come direbbe Adriano Aprà, è un bellissimo esempio di critiofilm, la nuova frontiera della critica dei film che raccontano il cinema. Mi ha colpito il profondo sentimento di amicizia e complicità di tutti i componenti del gruppo, l’amicizia e la collaborazioone non sono consueti nel mondo del cinema
È vero quello che dici, è un sentimento del collettivo, di amicizia, di affetto, del gruppo, qualcosa che sento che manca oggi, è necessario ricordarlo come qualcosa del passato, ma anche come un desiderio, una necessità del presente e del futuro.
All’epoca c’erano collettivi di cinema, ma non la stessa collaborazione, forse nel free cinema inglese, ma in genere c’era molto individualismo. Un altro elemento interessante nel tuo film è che non enfatizzi la figura di Glauber Rocha, sebbene fosse in un certo senso il teorico del gruppo e uno dei registi più famosi.
Glauber era senza dubbio un leader del movimento, ma al tempo stesso era inserito in un collettivo, così uno degli elementi più importanti del film, una delle forze originarie essenziali era proprio questo sentimento del gruppo, del collettivo. Così sarebbe stato incoerente mettere Glauber in primo piano in una posizione più importante rispetto agli altri perché la forza del movimento era il dialogo. Penso che se si fossero realizzati solo uno o due film non ci sarebbe stato il Cinema Novo, il Cinema Novo esiste con la forza del set, perché sono stati realizzati moltissimi film, una moltitudine di film e di autori, con una differenza estetica ed è questo che dà la forza e l’unità del movimento. È come uno specchio complesso del Brasile e dell’America latina, un caleidoscopio che sta girando e che sta guardando un Brasile profondo, un Brasile in trasformazione, il Brasile dalla fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’70.
Glauber è uno dei protagonisti del film, ma è inserito in questo collettivo ed è questa la forza del movimento, il dialogo tra i film. La ricchezza del movimento è la sua ricchezza estetica, la diversità stilistica, poetica ed anche tematica. Sarebbe stato molto contradditorio, incoerente fare un film così e mettere Glauber in primo piano. Sarebbe stata una mistificazione. Credo che una delle forze del Cinema Novo sia comprendere che l’artista è un intermediario del popolo, una persona che dà la voce. Così se io metto una persona in primo piano è incoerente verso il movimento, poco generoso. Penso in ogni caso che Glauber occupa una posizione potente nel film, molto chiara. È in ogni caso molto forte la sua presenza e quello che dice.
Che ricordo personale hai di tuo  padre?
Molto poco perché mio padre morì che avevo tre anni. Stava girando A Idade da Terra il suo ultimo film. Mio padre è un punto di riferimento nella mia vita, per la mia passione per il cinema, la mia spiritualità, è evidente, ma la persona che mi ha dato la formazione pratica è stata mia madre Paula Gaitán (regista di Exilados do Vulcão e Agreste. ndr). Sono felice di avere avuto un padre e una madre così magnifici, costituiscono la grande ispirazione della mia vita e credo anche del mio cinema.
Qual era il clima culturale e politico dell’inizio degli anni Sessanta quando nacque il Cinema Novo?
C’era un clima culturale e politico assai fertile perché il Brasile stava iniziando un cambiamento, una evoluzione culturale e una grande trasformazione: da paese rurale stava diventando un paese urbano. I film del Cinema Novo ne sono la testimonianza, sono uno sguardo poetico politico su questo momento di trasformazione del Brasile. Sono film rurali come i film di mio padre o come Vidas Secas e poi ci sono film come Macunaima di Joaquim Pedro de Andrade che è un film ambientato in città. C’era un clima avanzato e un governo di sinistra progressista di Jango Goulart. In seguito questo processo si interrompe con il golpe militare del ’64, un golpe militare molto simile a quello che stiamo vivendo oggi in Brasile. Ci sono punti di contatto molto simili a quello del ’64 e di Dilma Rousseff, un golpe dei militari, dell’oligarchia del paese che non accettarono i canbiamenti progressisti del programma sociale, la distribuzione dei profitti di Jango Goulart del ’64. Dal ’64 al ’68 ci fu una dittaura militare non troppo violenta, ma nel ’68 con la guerriglia brasiliana urbana ma anche contadina ci fu un decreto, l’acto n. 5 con il quale la dittatura militare si intensifica, si trasforma in una dittatura nazista e molta gente deve andare fuori dal paese come mio padre che se ne va in Francia e poi in Italia, e poi Diegues, Joaquim Pedro, Saraceni, molti intellettuali. Anche nel Cinema Novo c’è un golpe nel ’68-’69: i cineasti si separano, si disperdono. Ognuno va in un posto diverso dall’altro. Come dice Cacá Diegues in un film, la loro separazione fu il golpe militare, più che la censura fu la separazione dei registi. Questa è un’eredità che continua fino ai giorni nostri. Quello che fece la dittatura militare nell’America latina, quello che fece poi nelle decadi del neoliberalismo fu mettere fine alle cinematografie nazionali, l’avventura cinematografica diventò un’azione individuale, non più collettiva. La dittatura fa questo, distrugge i progetti collettivi, la sinistra. In questo senso ha molto a che vedere con quello che succede oggi in Brasile, dove c’è una persecuzione, una criminalizzazione della sinistra.
È stato molto importante per la costruzione del film sul Cinema Novo stabilire un dialogo con il Brasile contemporaneo, non solo con il passato, la nostalgia, ma una riflessione per conoscere quello che succede oggi in Brasile. È un film di montaggio, avevamo più di mille ore di filmati: quello che ha ispirato la costruzione del film è stato comprendere quello che è il Cinema Novo oggi in Brasile, non qualcosa del passato, ma che potesse parlare del presente. Il montaggio ha coinciso con la deposizione della presidenta Dilma. Mentre montavamo il film io e Renato Valone, il Brasile già stava vivendo un processo di golpe. Il golpe è una guerra violenta contro la sinistra in Brasile e contro i più poveri. La deposizione di Dilma era già architettata e questo ha influenzato la costruzione del film.
Nel film non ci sono riferimenti diretti al golpe, ma il montaggio lo rivela perfettamente e ne costituisce il climax proprio verso il finale.
Desideravo con il film generare movimento nel movimento, non mostrare il Cinema Novo come movimento del passato, come qualcosa di ermetico, cristallizzato, ma rendere il Cinema Novo contemporaneo perché credo che oggi il Brasile stia vivendo un’epoca «cinemanovista» nel senso della tensione sociale e politica, nel senso della lotta di classe, delle manifestazioni di strada, nel senso di una guerra ideologica: fu proprio questo che i film del Cinema Novo proiettarono sullo schermo. Fu uno choc, la tensione politica della strada. Era un cinema della strada, cosa che è molto presente oggi in Brasile, perché la storia dell’America Latina e del Brasile è una storia ciclica, è una tragedia dove i colpi di stato militari, mediatici, parlamentari tornano a ogni epoca perché si tratta sempre degli interessi dell’oligarchia del paese. Tutto questo mi ha orientato nello scegliere ogni frammento di pellicola, trovare le associazioni. Per questo dico che questo non è un film «sul» Cinema Novo, è un dialogo con il Cinema Novo della mia generazione, sono un cineasta che vive nel 2018 e anche Renato (Vallone ndr), il montatore. È un film «con» il Cinema Novo, «attraverso» il Cinema Novo. Adriano Aprà mi ha detto una frase di Rossellini. Una volta gli chiesero cos’era il neorealismo e lui rispose: «il neorealismo è uno stato dello spirito». Credo che sia lo stesso per il Cinema Novo: Non è solo un movimento degli anni Sessanta, è un’attitudine, uno stato dello spirito, il rapporto di un artista con il suo paese, con la sua cultura, con il suo mondo.
Mio padre disse una frase geniale quando gli chiesero cos’era il Cinema Novo, perché rispose: «In qualunque luogo, in qualunque parte del mondo, in qualunque epoca dove ci sia un cineasta con la voglia, il desiderio morale di affrontare i problemi della sua epoca, lì c’è un seme del Cinema Novo». Mi sembra che questa sia una grande ispirazione per noi. Il Cinema Novo è uno stato dello spirito come il neorealismo, come il costruttivismo russo. Quello che oggi fa la destra, con un’arte più conservatrice, con i mezzi di comunicazione è porre le istanze politiche sempre nel passato, come qualcosa da museo. Il movimento è sempre in movimento, ogni epoca ha film del Cinema Novo, è un movimento eterno, rinasce ad ogni generazione e ogni volta scopri questa radice che è molto forte
Il ritmo frenetico del film sembra contrastare con il ritmo lentissimo della maggior parte di quei film eppure nel ricordo non si perde niente di quel’atmosfera
Per forza, questo è è un film del 2018. Fa parte della musicalità del montaggio, come se si stabilisse un dialogo tra i diversi tipi di film, sia i lungometraggi di quegli anni, oltre a materiali d’archivio, film di famiglia, frammenti di ricordi personali. Tutto questo crea un nuovo significato, e ha a che vedere con il 2018 non con gli anni Sessanta. Una frase che fu di ispirazione per noi fu quando Humberto Mauro, il padre del cinema brasiliano disse: «Il cinema è una cascata». Questa frase fu un punto di riferimento per scoprire il ritmo del montaggio del film. Ci sono voluti nove mesi di montaggio.
Molti di quei registi oggi non ci sono più
Sì, oltre Glauber, Leon Hirszhmann, Joaquim Pedro de Andrade, Ruy Guerra, Gustavo Dahl. Paulo Saraceni che ho incontrato e filmato morì quindici anni fa. Ho incontrato e filmato anche anche Gustavo Dahl, Mário Carneiro.
Allora il punto di incontro del era Rio. I giovani registi oggi da dove provengono?
Ci sono diversi luoghi: Rio, Pernambuco, Recife, Mina Gerais, Belo Orizonte, San Paolo, Tiarà, nel sud a Porto Alegre: ci sono vari gruppi di cineasti in tutto il Brasile
Ma i film di quegli anni si continuano a vedere?
Sì sono visti anche se non tanto come dovrebbero e credo che il mio film è servito abbastanza a creare curiosità di vederli.
Molti italiani hanno collaborato alla storia del cinema brasiliano. Poco prima del Cinema Nuovo ad esempio Vera Cruz era stata fondata da italiani e vi lavorarono registi come Adolfo Celi, Luciano Salce. Sappiamo che il Cinema Novo si contrapponeva a questo tipo di industria cinematografica
Ci fu una cesura, una rottura con il modo di produzione di Vera Cruz perché il Cinema Novo fece uscire le cineprese dagli studi e le portò in strada, quindi fu realmente un nuovo cinema ispirato al neorealismo, alla nouvelle vague, al cinema russo, però ispirato anche alla cultura brasiliana, alla nostra letteratura, all’antropologia brasiliana, C’era in quel periodo la casa di produzione Atlantida che si riferiva al cinema americano e l’altra era Vera Cruz che aveva come riferimento il cinema europeo. E il Cinema Novo che era il cinema brasiliano.