Per uno di quei paradossi molto napoletani, la città dove insieme a Torino è nato il cinema in Italia non ha prolungato nello spazio e nel tempo questo «privilegio», non ha assecondato un primato storico – nobilitato naturalmente dalla qualità del cinema muto e dalla creatività di produttori e registi dell’epoca fino agli anni ’50 – con le dovute strutture, con un’adeguata crescita progressiva, con i necessari provvedimenti e iniziative.
Sono anni ormai che cineasti, critici, studiosi e operatori culturali napoletani si lamentano della clamorosa carenza – non solo perché Napoli è la terza città d’Italia per dimensioni ma proprio perché tutto il cinema italiano deve qualcosa a una delle più affascinati location del mondo che si è imposta nel cinema degli albori – di una vera cineteca regionale, di un Museo del cinema, di sale di proiezione comunali, di strutture cinematografiche pubbliche.

Salvo poi spuntare periodicamente ipotesi fantasiose di Cinecittà napoletane, di poli dell’audiovisivo, di palazzi del cinema, di scuole di cinema che servono solo a «riaprire» patetici dibattiti sull’argomento, ad alimentare polemiche stantie e chiacchiericci salottieri per poi puntualmente non approdare a nulla di concreto. Non proprio secondaria è anche la mancanza di una monumentale e completa «Storia del cinema napoletano». All’argomento sono stati dedicati in vari decenni monografie, saggi, storie circoscritte a periodi, approfondimenti tematici, dizionari sparsi, ma sono mancati la capacità, la motivazione, un progetto editoriale serio e non ultimo il budget necessario per convogliare tutto in un’unica grande opera come la storia del cinema napoletano meriterebbe. A colmare in parte questa lacuna arriva l’utile e documentato Dizionario del Nuovo Cinema Napoletano di Giuseppe Borrone (CentoAutori, pagg. 368, euro 22) che inaugura la collana «Cinema», curata dallo stesso autore, di un intraprendente editore partenopeo che si sta muovendo con proposte originali che vanno ad occupare spazi lasciati vuoti non solo del cinema.

Un trentennio
Borrone, storico del cinema, operatore culturale e curatore di uno dei più stimolanti e seguiti cineforum napoletani, ha affrontato un periodo del cinema napoletano (dal 1990 al 2020) particolarmente accidentato e rischioso, se non altro perché è stato spesso oggetto di equivoci e fraintendimenti sia dal punto di vista dell’arco temporale preso in esame sia da quello delle tipologie degli autori/registi protagonisti, sia ancora da quello delle forzature in direzione di scuole e manifesti.

I vesuviani
Scrive Valerio Caprara nella sua lucida prefazione con riferimento al decennio che precede il trentennio analizzato: «Negli anni Ottanta, al termine di una fase in cui venerati maestri e super-attori non facevano altro che curare il proprio, sia pure rigoglioso, orticello, il cinefilo e rigoroso Piscicelli e l’erratico, crepuscolare, raffinato Troisi sembrarono in grado di ripristinare l’armonia perduta. Le diversità tra il lunare Corsicato, il sanguigno Capuano e il rigido Martone si ritrovarono, peraltro, aggregate d’ufficio a un quadro di comodo, un canone inesistente che fatalmente finirono per convergere alla fine del decennio successivo nella disastrosa sortita di I vesuviani».

Dal canto suo Borrone apre la sua introduzione chiarendo i termini della questione: «Con l’espressione Nuovo Cinema Napoletano si è soliti indicare un insieme di autori legati dalla comune appartenenza geografica, ma soprattutto uniti dalla consapevolezza di trovarsi al centro di un profondo processo di rinnovamento. La definizione fu usata per la prima volta negli anni Novanta, quando risultò evidente che la lunga serie di debutti, tutti caratterizzati dalla discontinuità con la tradizione, non potesse essere casuale». La nascita del fenomeno viene in genere fatta risalire erroneamente al 1997 quando uscì dopo l’anteprima veneziana con tanto di amplificazione mediatica, il film collettivo I vesuviani. Ma già i primi anni ’90 videro alcuni significativi esordi che lasciavano intravedere i fermenti, le personalità e gli stili di un nuovo cinema napoletano.

La schedatura
Comunque il trentennio è stato attraversato in lungo e in largo con un certosino e filologicamente impeccabile lavoro di schedatura di 216 autori disposti in ordine alfabetico. Si tratta di registi delle generazioni più diverse, dai veterani ai giovani esordienti, da quelli famosi a quelli sconosciuti ai più, da quelli che hanno realizzato fiction a quelli che hanno girato documentari, da quelli i cui film sono usciti regolarmente nelle sale a quelli che non hanno trovato distributori e in alcuni casi si sono dovuti accontentare di un passaggio in qualche festival. Ogni regista è accompagnato da una scheda di lunghezza variabile a seconda dell’importanza dell’autore o della quantità di film girati, che comprende informazioni, trame e note critiche. A conferma dell’approccio rigoroso all’argomento, Borrone ha ritenuto doveroso includere anche autori non napoletani ma che hanno ambientato alcuni film a Napoli o in Campania sintonizzandosi spesso sugli umori, le suggestioni, il clima culturale, i fermenti creativi del trentennio analizzato. Quindi non solo Capuano, Corsicato, Martone, De Lillo, Sorrentino, Incerti, Di Costanzo, De Angelis, D’Angelo, Caria ma anche Amelio, Cristina e Francesca Comencini, Özpetek, Wertmüller, Demme, Turturro.