Subito dopo la parata di star a Venezia, un’altra schiera di registi meno conosciuti dal grande pubblico, ma non meno significativi, compaiono alla ribalta dei «Milleocchi» festival internazionale del Cinema e delle Arti, con la direzione artistica di Sergio M. Grmek Germani che si tiene a Trieste dal 15 al 21 settembre. Giunto alla sedicesima edizione dal titolo «Eros e Priapo», ha un programma realizzato con la collaborazione delle cineteche straniere e italiane (Bologna, Milano, Torino, del Friuli e la Cineteca Nazionale) ricco di possibilità di inedite scoperte e visioni e proiezioni secondo i formati originali, in copie 35mm (tranne le digitalizzazioni).
Un programma fatto di nomi che compiono la magia di un festival della riscoperta e degli incroci trasversali, riportando ordine/disordine nel gusto delle immagini. Talvolta star dell’underground e altre volte autentici fenomeni popolari, dalle caratteristiche autoriali e linea di demarcazione del gusto. Come Dimos Theos, legato a una lontana epoca del cinema greco del periodo subito dopo la dittatura dei colonnelli, quando bastava un film per scatenare le reazioni del pubblico del festival di Salonicco, con infinite discussioni teoriche e ideologiche, formali e politiche (per non parlare degli scontri fisici). Insieme a Stavros Tornes di cui è stato amico e montatore è portatore di una ricca eredità non solo per il cinema greco, tanto quanto difficile è stata la loro vicenda cinematografica. Film, quelli di Theos, tutti da rivedere oggi per creare una nuova prospettiva, obiettivo dei Milleocchi.
Una parte importante nel programma ha la sperimentazione del cinema croato prodotta tra la fine degli anni ’50 e i ’60 dovuta al cambiamento politico in Jugoslavia, alla modernizzazione che permise un allontanamento dal realismo socialista, finché (come del resto da noi) non fece la sua comparsa il cinema d’autore buono per tutte le stagioni. Tra i nomi legati alla sperimentazione di Zagabria Mihovil Pansini (1926-2015) medico e maestro del cinema amatoriale, autore e animatore di dibattiti sull’antifilm (esempio di questi è il suo «Scusi signorina» dove con la camera appesa sulla schiena riprende Zagabria non intenzionalmente), fondatore nel 1962 della Biennale del cinema d’avanguardia il GEFF (Genre Film Festival) che riuniva cinema amatoriale, cinema d’autore, documentari, film di animazione.
Il regista fotografo architetto Ivan Martinac, autore di settantun cortometraggi e un lungometraggio, da Spalato frequenta la scuola di Belgrado influenzando l’Onda nera del cinema serbo e torna quindi a Spalato dove fonda la Cineteca e la Scuola del cinema alternativo. Tomislav Gotovac, altro studente di architettura svela il cambio di epoca con l’attenzione riservata alla forma e non al contenuto di un’opera, autore della Beogradska trilogija e di film come manifesti programmatici, anticipatore di quello che poi farà negli anni successivi Michael Snow.
Figura di congiunzione tra vari nomi della nouvelle vague è poi Jackie Raynal, attrice e montatrice per Jean-Daniel Pollet, Eric Rohmer (La Carrière de Suzanne e La Boulagère de Monceau del 1963), Philippe Garrel (La Concentration, 1968, José Bénazéraf (Cover Girls, 1963), Jean Eustache (La Maman et la putain, 1973). Si presenta il suo Un Film 1998/2018 – Journal de Jackie, viaggi tra New York, Trieste, Zanzibar, Parigi, New Orleans e Stromboli, con personaggi da Labarthe a De Niro, JOnas Mekas a David Bowie.
Riprende il posto che gli spetta Seth Holt (1923-1971) autore di film come La casa del terrore, La mano che uccide, Exorcismus, Avamposto Sahara, Nanny la governante, scarna filmografia e tanta televisione diventato leggendario dopo la sua morte, da ricordare anche per essere stato il montatore di alcuni autori del free cinema come Tony Richardson (Gli sfasati, 1960) e Karel Reisz (Sabato sera domenica mattina, 1961).
Più casi da sequestro per censura che film sono stati a volte quelli interpretati da Dagmar Lassander: Andrée – l’esasperazione del desiderio nell’amore femminile (’68), Femina Ridens di Piero Schivazappa (’69), Il rosso segno della follia di Mario Bava (1970), Black Cat di Lucio Fulci. La presenza di Dagmar Lassander in questo programma dal titolo «Eros e Priapo» non è pleonastica, esperta protagonista del cinema porno soft italiano dall’horror al thriller alla commedia, con le trovate più surreali e comiche che si possono immaginare, nuovo terreno d’azione che negli anni Sessanta mise in moto le maestranze e le fantasie all’allentarsi della censura (marchingegno usato come diversivo delle mobilitazioni popolari).
E infine, come ogni edizione del festival si torna a leggere e rileggere Genina, Poggioli, Camerini, Damiano Damiani, Germi e ancora sempre Giuseppe De Santis, per trarne fruttuosa ispirazione.