Mai in un solo mese c’è stato tanto affollamento di Festival e ne sono annunciati di nuovi. Parecchi si dovrebbero chiamare Kermesse piuttosto che Festival, così come sono il prolungamento della tv e del gossip, del mainstream e della passerella.

Vogliamo invece dare spazio a una manifestazione appena cancellata che ha lasciato un grande vuoto, «Cinema e donne di Firenze» edizione 43 che si sarebbe dovuta tenere dal 6 novembre e che per la mancanza di finanziamenti da parte del Comune (anche se con un ridotto contributo della Regione che l’ha sempre sostenuto) ha dovuto interrompere l’organizzazione già in corso alla vigilia dell’inaugurazione.

Questa cancellazione assomiglia a un femminicidio culturale in una città in cui si finanziano però tutte le altre numerose manifestazioni cinematografiche, dal festival dei Popoli, allo Schermo dell’arte, River to River, premio Fiesole, Middle East, ecc. Abbiamo chiesto se qualcuno dei direttori di questi festival abbia preso posizione in merito, se sia stato solidale, pare di no: eppure solo pochi anni fa le «50 giornate di festival» ininterrotte a Firenze raggruppava tutte le manifestazioni con enfasi.

Quarantatrè anni di attività hanno significato per il Laboratorio immagine donna diretto da Maresa d’Arcangelo e Paola Paoli costruire una rete di rapporti internazionali sul nascere delle nuove onde di cinema e alimentare il tessuto culturale nella città, il più antico tra i festival di cinema dedicato alle cineaste: hanno esordito a Firenze le prime registe italiane quando ancora le poche rappresentanti appartenevano per lo più al mondo dell’underground e le grandi firme prendevano le distanze dal genere: qui hanno mostrato i loro film Gabriella Rosaleva, Antonietta De Lillo, Wilma Labate, Isabella Sandri, Costanza Quatriglio, Alina Marrazzi, Ursula Ferrara ed Emanuela Piovano che iniziò proprio a Firenze l’attività di produttrice, ancora prima di quella di regista.
Si fecero conoscere maestre del cinema dallo sguardo innovativo come Marta Meszaros, Vera Chytilova, Chantal Ackerman, Kira Muratova, Agnès Varda, Ulrike Ottinger, Coline Serreau, Deepa Metha, Léa Pool, Giovanna Gagliardo.

Dalla Palestina arrivavano le cineaste con le pizze dei film nella borsa della spesa eludendo i check point, dalle repubbliche sovietiche eludendo i divieti della censura numerose registe considerate al solito invisibili essendo donne. Dall’Australia battagliere produttrici che per la prima volta mettevano al centro del discorso il tema tabù del denaro e dalla Svezia le strateghe del 50/50.
E fino dagli anni ’80 parteciparono Lorenza Mazzetti e Cecilia Mangini che quarant’anni dopo tutti i festival si sono affrettati a omaggiare al limite della loro scomparsa, accettate come monumenti, ma neanche nominate quando erano in azione, la prima come fondatrice del free cinema inglese, la seconda documentarista considerata quasi un’appendice del marito Lino Del Fra.
E, tornando ancora più indietro, il festival è stata la scuola di formazione per le giovani cineaste con la conoscenza di tutta la tradizione dell’avanguardia delle origini, Alice Guy, Maya Deren, Germaine Dulac, e del cinema hollywoodiano con personalità da scoprire come Ida Lupino.

«Cinema e donne» ha realizzato negli anni selezioni di cinema italiano a Berlino, New York, Rio De Janeiro, Marsiglia dove il Festival Film Femmes Mediterranée è nato come filiazione del festival di Firenze. L’impostazione internazionale del festival ha permesso di entrare in contatto con paesi più avanzati dell’Italia dove per le donne assumere ruoli responsabilità nella regia, della fotografia o nella produzione era già un fatto scontato o dove la parità nei ruoli direttivi è un dato di fatto.

Un comunicato stilato dal Laboratorio mette in evidenza tutti questi punti nevralgici, accolto e appoggiato anche dall’assemblea che si è svolta sabato e domenica scorsa dal Sncci, il sindacato critici italiani.

Importante il collegamento con la situazione attuale, un segnale che ci sono ancora obiettivi da raggiungere: «oggi le donne vincono i grandi festival come Cannes e Venezia, ma continuano ad essere tragicamente poche quelle che fanno del cinema la loro arte o la loro professione. Studi, statistiche e premi internazionali provano che non sono meno brave dei colleghi maschi, ma rimangono discriminate, meno pagate e in tutti i modi disincentivate. In Italia, le ragazze che entrano nelle scuole di cinema sono più della metà degli allievi ma non scelgono la specializzazione regia ’perché dopo non si lavora’. Anche adesso che le registe sono una bella squadra, riescono ciascuna in media a fare un film ogni 5 anni».

Il comunicato del Laboratorio termina con indicazioni precise sulle iniziative future: l’attenzione è sempre vigile sulla distribuzione, con film che arrivano da più parti del mondo ma restano in sala come meteore, si segnalano iniziative inesistenti nel Recovery Fund che nomina solo gli asili nido come priorità femminile (come se questo non riguardasse anche i padri), la necessità di finanziamenti per formazione e cultura per cambiare la mentalità misogina del nostro paese e infine «la proposta di modifica della legge Franceschini n.220 del 2016 chiedendo un maggior sostegno alle imprese di produzioni indipendenti a prevalenza femminile, rifacendosi addirittura alla Direttiva della CEE del 1989 cosiddetta ’tv senza frontiere’ che poneva al centro le Produzioni indipendenti come garanzia della pluralità culturale».