Inaugurazione con Sacro GRA di Gianfranco Rosi, il festival parigino Cinéma du Reel, diretto per la seconda edizione da Maria Bonsanti, arriva in una Francia traumatizzata dalla vittoria dell’Fn di Marine Le Pen, con la sconfitta – quella sì prevista – dei socialisti (a Parigi si andrà al ballottaggio tra la candidata Ps Anne Hidalgo e quella Ump Nathalie Kociusko-Morizet) che scontano il basso gradimento della presidenza Hollande («Svegliati presidente!» è il titolo di un editoriale del quotidiano Liberation di ieri).

Nelle sale sempre molto affollate del Centre Pompidou si racconta la realtà, o piuttosto la sua rappresentazione attraverso le «provocazioni» dell’immaginario, che è la scommessa all’origine del festival nato trentasei anni fa, e che oggi nella corrispondenza obliqua tra gli schermi e il mondo appare sempre più forte. Globalizzazione, Storia, tentativi di rivoluzione interrogano le immagini, e gli artisti: come narrare, in che modo dichiarare un punto di vista, che strumenti utilizzare per lavorare nel profondo, all’opposto cioè delle semplificazioni spesso strumentali della cronaca. E come trovare una dimensione politica e poetica delle proprie immagini nel confronto coi soggetti messi al centro della riflessione.

Sarmatia: sulle carte geografiche non esiste, e non si trova neppure su google maps. L’enciclopedia ci dice che i Romani indicavano con questo nome «una porzione delle terre nell’Europa centro-orientale» tra il Mar Baltico e il mar Nero, e di Sarmatia si parla già nell’antica Grecia. In Sarmatien è il titolo del nuovo film di Volker Koepp, tra i nomi storici del cinema della Germania dell’est, che a differenza di molti altri cineasti tedesco-orientali dopo la riunificazione tra le due Germanie ha continuato a fare film puntando l’obiettivo su quelle zone «di confine», sospese tra diverse lingue, intreccio di Storia e di storie, identità e riferimenti, dove la geografia intesa come una semplice intersezione di linee appare più inadeguata che altrove (per esempio Kaliningrad esplorato attraverso i suoi abitanti bambini in Holunderblute).

La ricerca della Storia nel paesaggio prevede una visione non lineare e non progressiva, basata sul conflitto e sulla contraddizione, in cui la percezione della stessa realtà cambia «culturalmente» da persona e persone. Koepp qui viaggia tra Ucraina, Polonia, Bielorussia, Moldavia fino alla Lituania, segue il fiume Neman – o Nemanus – i cieli azzurri di un paesaggio pieno di bellezza, che si intrecciano ai vissuti di alcune ragazze conosciute anni prima, e ritrovate nel corso del tempo in momenti diversi delle loro vite. Ci sono anche gli incontri casuali, come quel ragazzo biondo in Bielorussia che costruisce case di legno, e le vende in Europa, perché ha scoperto che là il legno costa di più, «Se volete comprarne una» sorride alla macchina da presa. E poi spiega che nel suo paese il problema più serio è la stabilità politica, sembrerebbe un paradosso, ma nel suo discorso è un modo per dire che il governo bielorusso di Lukashenko è un regime al potere (grazie anche agli appoggi della Russia) da 20 anni. Vorrei che ci fosse più libertà sorride il ragazzo, noi siamo parte dell’Europa che però ci considera un universo estraneo.

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Già, l’Europa. È il riferimento e il cruccio di tutti i giovani che Koepp incontra. Come Tanya, ucraina che da ragazzina al regista per un altro film aveva dichiarato fiera che non avrebbe mai lasciato l’Ucraina. Studiava tedesco ma perché a differenza delle sue amiche inseguivano l’obiettivo di sposare un uomo ricco, Tanya rivendicava l’autoaffermazione. E ce l’ha fatta, professore universitario, due figli, vive però a Jena, in Germania, col marito docente pure lui. La città di Tanya è Czernowitz, ci abitano ancora i genitori, e le sue amiche, che hanno creduto nella Rivoluzione arancione, deluse dalla politica e insofferenti verso l’arroganza dei russi. Czernowitz oggi Cernivtsi, dove sono nati Paul Celan e Roman Vlad, ha vissuto molti passaggi politici, e perciò geografici, da città cosmopolita non russa, non ucraina, non rumena, non polacca, non cristiana, non ebraica ma con tutte le etnìe e tutte le culture insieme, è divenuta ucraina perdendo la molteplicità delle convivenze etniche, linguistiche, culturali, religiose. Lì si sono intrecciati il genocidio nazista e la violenza dell’omologazione etnico-culturale imposta dal potere sovietico, e la fine delle diversità, col nazionalismo e la rivendicazione di una «identità» etnica hanno permesso di evocare fantasmi pericolosi, la riscoperta del criminale alleato dei nazisti Stepan Bandera da una parte, e sull’altro fronte, i fanatici del neoimperialismo russo.

Koepp a Czernowitz ha già girato un film, i protagonisti erano due ebrei che parlavano tedesco, tra i pochi sopravvissuti nei campi di sterminio e tornati in città alla fine della guerra. La donna lo aveva accolto dicendo: «Cinquant’anni fa non avrei mai creduto di stringere la mano a un tedesco». Herr Zwilling und Frau Zuckermann, questo il titolo del film, ne raccontava l’esistenza ai margini, perché poi l’antisemitismo è continuato forte anche dopo la guerra con l’Unione sovietica. La donna, energica, vuole guardare le cose con ottimismo (è morta nel 2002), l’uomo è invece pessimista – «Ho avuto sempre ragione» dice nel 97 anno del film in un frammento inserito da Koepp nel suo nuovo lavoro. I due si incontravano per parlare tedesco tra loro.

Oggi c’è ancora il figlio di Frau Rose Zuckermann coi capelli bianchi, è rimasto anche se non è felice, e continua a insegnare tedesco, Tanya è stata tra le allieve della madre. Il film non arriva, ovviamente, fino a questi giorni eppure la natura del conflitto in Ucraina ci appare nella sua complessità – che è appunto assai più intricata di un banale schieramento con uno o con l’altro – con estrema chiarezza.

Come in una vecchia fotografia, Koepp mette frontalmente nell’inquadratura Tanya tra il padre e la madre, nel loro bel giardino, davanti alla tavola con frutta e the. Il padre dice alla figlia che il suo punto di vista è forse «troppo europeo». «Cosa vuol dire?» dice lei. L’uomo cerca di rimandare la conversazione, appare imbarazzato, non vuole discutere. La madre anche lei minimizza, ma la ragazza insiste.

«Non ti senti ucraino?». In epoca sovietica spiega lui il concetto di nazione non esisteva. Ma la ragazza insiste: Non sei ucraino? E infine l’uomo l’asseconda. Ma l’Europa rimane per lui un dubbio. Quale Europa chiede alla figlia, nessuna risposta. Diverso è lo zio, che ha patito il partito comunista, è stato in carcere, e poi è uscito e si sente fiero di essere là anche se i suoi figli sono quasi tutti emigrati, con l’eccezione della cugina di Tanya – ma qui siamo in Galizia – rimasta sola col figlio e tanta malinconia.

Anche Lara, moldava, filmmaker vive a Parigi ma torna spesso nel suo paese, che è «bellissimo» e ha voluto girare là il suo primo film, con attori moldavi come suo fratello. Parla tedesco e molte lingue, racconta della Transnistria – e siamo di nuovo nell’attualità – da sempre bramata dai russi, della colonizzazione della loro lingua, il rumeno, che i sovietici hanno imposto di scrivere i cirillico snaturandola e russificandola. Il fratello spiega che i russi sono aggressivi e che per questo i moldavi tra loro spesso parlano russo. «Cambierà, speriamo» sorride la ragazza. Per lei la Moldavia è il cuore dell’Europa ma la Russia, e prima l’Unione sovietica. li ha messi fuori.

Di nuovo; quale Europa? Economica? Storica? Culturale? L’orizzonte avventuroso sognato da lei ragazzina?

Anche l’altra donna, che dirige un festival di cinema a Kaliningrad pensa all’Europa. Si sente isolata e soffre quell’enclave, ricorda di quando da ragazzina attraversava il fiume Neman perché in Lituania il gelato era più buono. L’Europa, e la Russia. Un equilibrio scivoloso. Come le rimozioni di cui testimoniano quell’anziana coppia in Bielorussia di ebrei, lei iscritta al partito comunista dopo la guerra era rimasta la sola insegnante nella scuola. E lui lo avevano arrestato con l’accusa di avere complottato contro Stalin, e non avrebbe ammazzato un pollo. Poi si sono spostati, vivono in una casa di legno sul fiume. Ma anche in Ucraina gli ebrei sono stati perseguitati dopo la guerra in epoca sovietica, ma a Uman c’è il capodanno che ogni anno richiama gli ortodossi. In Moldavia non se ne parla, perché glissa Lara ognuno a riscritto la storia a suo modo …

È un film a strati In Sarmatia, nel quale Koepp pur scegliendo delle guide precise, non chiude il mondo in un solo punto di vista, cosa che del resto non accade mai nei suoi fiklm. E proprio questo procedere per segmenti, giustapposizioni, accumuli, ci permette di mettere a fuoco le sfumature delle realtà che ci sta raccontando, e forse anche dei conflitti che vivono in questo momento, le frustrazioni strumentalmente messe in gioco, a cominciare da quella dell’Europa, confine ambiguo e incerto, rispetto al quale però sembra facilissimo agitare fantasmi remoti e sempre presenti.