Come ben sappiamo, ormai, nell’ultima settimana nel dibattito politico italiano ha fatto irruzione la nuova via della Seta (Obor o Bri), progetto lanciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013.

Il rinnovato interesse sul mega progetto cinese (che pure sta incontrando qualche difficoltà) è nato da dichiarazioni qua e là del sottosegretario allo sviluppo economico Michele Geraci, secondo il quale tutto ormai sarebbe pronto per la firma del memorandum of understanding (Mou) sulla via della seta tra Pechino e Roma. Questo tipo di accordo ad oggi è stato sottoscritto già da Ungheria, Grecia e Portogallo.

Chiaramente una firma italiana sarebbe “storica”: si tratterebbe del primo paese del G7 (nonché fondatore della Ue) a sottoscrivere questo documento.

Da Washington hanno subito tuonato, via Financial Times, avvisando l’Italia dei rischi e ricordando con chi sia alleata – oggi e storicamente – Roma.

C’è un particolare da tenere conto, come vedremo più avanti: Giancarlo Giorgetti della Lega era negli Usa proprio mentre il Financial Times dava conto dei mal di pancia americani.

Nel frattempo: è uscito un leak relativo al Mou, ne abbiamo scritto qui. Nel documento sembrerebbe la Cina a dare la carte, ma abbiamo specificato che potrebbe anche essere vecchio (e in ogni caso l’Italia non ha effettuato modifiche).

Cosa si è capito dal quel documento? Alcune cose: intanto che Farnesina e Mise in questo momento sono in conflitto (come si è appreso in quel fantastico mondo che è Twitter)

Inoltre e attenzione perché è molto rilevante: nel documento ci sarebbero progetti di cooperazione su ferrovie, porti e telecomunicazioni.

Nel week end, a Genova, il premier Giuseppe Conte al convegno di Limes ha ribadito l’intenzione da parte dell’Italia di firmare il memorandum, ma senza l’intenzione di fare arrabbiare gli americani. E ha confermato la sua presenza a Pechino per il secondo forum della nuova via della seta ad aprile (nel 2017 l’allora premier Paolo Gentiloni aveva partecipato al primo forum).

Il Corriere, intanto, pubblicava un pezzo nel quale si diceva qualcosa di più del potenziale viaggio di Xi in Italia (il presidente cinese verrà in Italia solo se ci sarà la firma). Si veniva dunque a conoscenza della delegazione e della cooperazione possibile tra Italia e Cina in vari luoghi compresi l’Egitto.

Passato il week end, lunedì 11 marzo ha visto parecchi politici dire la propria su Cina, via della Seta e compagnia (Manlio Di Stefano su La Stampa, Edoardo Rixi su La Verità ad esempio, mentre in precedenza si era espresso il noto sinologo Francesco Sisci su Startmag in termini non proprio positivi, non tanto sulla vicinanza italiana alla Cina – che per altro è ormai in corso da tempo – quanto sul metodo e la poca chiarezza di tutta l’operazione).

Forse anche per questo il sottosegretario Michele Geraci ha provato a rassicurare

Cosa ne possiamo dedurre da questa ridda di voci?

Intanto che c’è una spaccatura trasversale tra membri del governo pro accordo e membri contrari.

Che tutto sommato la Lega pare più dubbiosa dei Cinque Stelle.

Sia Giorgetti sia Salvini lunedì 11 marzo hanno specificato di non volere mettere a rischio le relazioni con gli Usa – siamo euroatlantici, hanno chiarito e chissà che ne pensa Putin – e soprattutto hanno evidenziato la necessità di mettere dei paletti all’abbraccio dei cinesi: commercio sì, in pratica, telecomunicazioni no.

Il problema al riguardo ha un nome ed è Huawei, sulla quale gli Usa da tempo sono in pressing su tutti gli alleati per spingerli a estrometterli da ogni tipo di contratto. Sullo sfondo c’è lo scontro epocale tra Cina e Usa per quanto riguarda la leadership tecnologica: ne avevamo scritto qui.

Tutti d’accordo? Chissà. Intanto il Movimento cinque stelle oggi sul sacro blog di Beppe Grillo ospita un articolo che ironizza sulle frenate della Casa bianca, dimenticando alcune cose del passato tipo questa: era il 2017 e i 5S chiedevano al parlamento chiarezza sul rischio che dietro la tecnologia cinesi ci fosse l’esercito. Tutto dimenticato, evidentemente, come i tweet di Salvini sulla Cina in Africa.

Lunedì 11 marzo, in serata, Palazzo Chigi prova a fare chiarezza: fonti affermano che “Nella collaborazione con la Cina, come con ogni altro Paese, poniamo massima attenzione alla difesa dei nostri interessi nazionali, alla protezione delle infrastrutture strategiche, incluse quelle delle telecomunicazioni, e quindi alla sicurezza cibernetica. Il testo  del possibile Memorandum sulla Via della Seta su richiesta italiana, imposta con grande chiarezza tale possibile collaborazione sui principi, cari a tutta l’Ue, di trasparenza, sostenibilità finanziaria ed ambientale”.

 

Infine: la Cina sa fare pressione – nonostante sia nel bel mezzo dell’appuntamento legislativo annuale – tanto quanto e oggi sui media si parla di “benvenuto all’Italia nella Via della Seta”.

 

 

Resta solo da capire se l’Italia deciderà qualcosa. E quando. Ma può essere che per capire qualcosa dovremo aspettare la mossa di Pechino: se sarà annunciato il viaggio di Xi, la firma sarà da considerarsi cosa fatta.