In un intervento di qualche settimana fa pubblicato su questo giornale lo scorso 24 marzo, Yan Lianke lamentava che la letteratura, di fronte all’infuriare dell’epidemia, data la sua incapacità di recare conforto materiale alle persone in difficoltà, sarebbe ormai impotente e marginale.

In realtà, ciò che intendeva dire era esattamente il contrario: la letteratura, in questo tragico frangente, un potere ce l’avrebbe eccome, se solo gli scrittori cinesi smettessero di starsene a guardare e si decidessero finalmente a parlare, “dando voce a coloro che si sentono afflitti e alienati” o testimoniando l’“assurdità” delle vicende storiche in corso.

Ma gli scrittori cinesi, “costretti a operare nei limiti del politicamente corretto”, fragili e inermi come “i pinguini dell’Antartide”, e tutto sommato comodi e protetti nelle loro “calde giacche imbottite”, fanno per lo più secondo Yan Lianke orecchie da mercante, e addirittura, in certi casi, partecipano alla liturgia della celebrazione collettiva intonando i loro “inni di gioia” e facendo “scrosciare i loro applausi”.

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Mentre scriveva queste cose, però, Yan Lianke aveva anche bene in mente qualche esempio opposto; in particolare, quello di una scrittrice che, nel prevalente conformismo generale, aveva invece levato la sua voce forte e chiara, dimostrando che anche gli scrittori cinesi, nel contesto di una tragedia nazionale, possono essere utili a qualcosa e che la letteratura, se davvero ne avesse voglia, un certo potere indubbiamente ce l’avrebbe. Stiamo parlando di Fang Fang, scrittrice sessantacinquenne di Wuhan, di cui ho già scritto in precedenza, che per due mesi, a partire dal 25 gennaio scorso, ha documentato ogni giorno con un suo “diario” la quarantena di Wuhan “dando voce con la propria penna”, come aveva già affermato in precedenza Yan Lianke, “alla memoria e all’esperienza” proprie e degli abitanti della città nella loro lunga e dolorosa reclusione.

Le pagine del diario di Fang Fang sono di una semplicità disarmante, e a prima vista di letterario hanno poco o niente, soprattutto per chi dalla letteratura si aspetta accenti lirici o toni epici, o verità profonde ed eleganti orpelli. Ma in realtà, a leggerle bene, sono pagine così misurate e attente, così fornite di sentimento umano nella loro spoglia sobrietà, che solo uno scrittore – e in particolare una scrittrice da sempre nota in Cina per il suo realismo delle cose minute e della vita quotidiana – avrebbe potuto scriverle. Fang Fang, per esempio, comincia sempre la sua paginetta giornaliera con un qualche cenno rapido, e tuttavia vagamente poetico, al tempo di Wuhan: il cielo limpido e gelido di fine gennaio, la pioggia insistente e cupa di febbraio, le giornate calde e variabili di marzo.

Così, il tempo diventa una metafora, correlativo delle ansie e delle aspettative di chi è recluso in casa propria, e osserva, col cuore in gola, l’evoluzione del contagio, che si dipana lentamente dalla disperazione dell’inverno fino alla redenzione della primavera.

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Inoltre, con questo semplice artificio, Fang Fang porta il lettore nella propria casa, gli fa guardare il mondo dalla sua finestra, inducendolo a vedere il dramma di Wuhan da una prospettiva interna, un punto di vista personale, secondo l’esperienza di chi lo vive. Ma il diario non vuole essere poesia, e infatti Fang Fang passa poi velocemente a fare altro. Di solito il resoconto della “giornata” comincia con la rassegna delle notizie, quelle buone e quelle cattive, raccolte in internet o ricevute di prima mano, riferite ai suoi vicini e conoscenti così come alle vicende nazionali, in una sorta di bollettino umanizzato in cui Fang Fang ricostruisce in sintesi, con lemmi colloquiali, il quadro della situazione.

Spesso a venire per prime sono le notizie più dolorose, come quelle dei morti, ma insieme ci sono i riferimenti alle sofferenze di coloro per i quali il virus è stata una disgrazia – i familiari dei malati, i bambini che hanno perso i genitori, i lavoratori rimasti senza lavoro, quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare all’ospedale, i cittadini di Wuhan a cui è impedito tornare a casa o i migranti dello Hubei discriminati dalle altre province – talora affiancate da alcune notizie più allegre e distensive, che fanno sorridere e restituiscono speranza.

Ma oltre a ciò Fang Fang fornisce anche molte informazioni pratiche, vagliando le dichiarazioni degli esperti, discutendo le misure del governo, acquisendo i pareri dei suoi amici specialisti, fornendo aggiornamenti sugli sviluppi dell’epidemia, e cercando, con ciò, di offrire consigli e raccomandazioni utili ai cittadini incerti di fronte ai rischi del contagio.

Nel far questo, Fang Fang non si accontenta però di fare da megafono alle politiche governative, ma viceversa si dedica con paziente puntiglio a interrogare le autorità sulla gestione della crisi, denunciando gli errori e criticando l’autoreferenzialità dei funzionari, chiedendo correzioni alle misure di contrasto maggiormente rispettose dei bisogni della popolazione, e, soprattutto, chiedendo con insistenza verità e giustizia contro le trasfigurazioni della propaganda a nome degli abitanti di Wuhan.

Nel mentre, la pagina si arricchisce di numerosi accenni sulle sue occupazioni quotidiane, dalle telefonate con la figlia e i due fratelli maggiori ai problemi di andare all’ospedale per prendere le medicine del diabete o di trovare il cibo per il vecchio cane, insieme alle varie attività compiute per tirare avanti durante la clausura, come comprare la spesa, fare un po’ di movimento, cosa mangiare, eccetera.

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Così facendo, Fang Fang assolve con il suo diario a diverse funzioni. In primo luogo, riporta nell’orizzonte della coscienza collettiva, restituendo loro dignità, i molteplici drammi di tutte le persone comuni che hanno sofferto per il flagello che si è abbattuto su Wuhan, e che pure sono state le prime a essere dimenticate dalla propaganda nazionale, tutta tesa a costruire il dolore e il sacrificio come atti di eroismo e altruista abnegazione nella grande epopea del patriottismo nazionale.

Non per niente, fra le varie proposte di commemorazione avanzate da Fang Fang, c’è quella di istituire una sorta di “muro del pianto”, attivando un sito internet attraverso cui consentire ai familiari delle vittime di “sfogarsi” ricordando i loro cari. Quindi, il diario cementa un senso di comunanza collettiva non solo suscitando la compassione dei connazionali nei confronti degli sventurati di Wuhan, ma anche registrando con minuzia, partendo dalla sua personale routine, le piccole privazioni, l’altalena delle emozioni, i problemi di ogni giorno dei tanti che come lei sono confinati fra le mura della propria casa; il diario, in questo modo, viene a esercitare una funzione che potremmo dire terapeutica, dato che lenendo i malesseri e placando le angosce aiuta infine ad affrontare passo passo, con sofferta consapevolezza, le restrizioni imposte dalle nuove circostanze.

Con le sue pagine di vita quotidiana, in breve, Fang Fang fa davvero sentire a chi la legge di “essere tutti sulla stessa barca”, dando quindi senso e sostanza allo slogan usato dal governo per animare il sentimento di solidarietà nazionale. Ma oltre a dare un sostegno emotivo ai suoi lettori, Fang Fang cerca anche di fornire un utile servizio pubblico, incaricandosi di sfruttare le sue conoscenze fra i medici, i professori e gli intellettuali di Wuhan, insieme al prestigio e alla fiducia di cui gode fra i lettori, per offrire informazioni affidabili a cui la gente possa credere e con le quali si possa orientare.

In questo senso possiamo dire che Fang Fang viene a fungere da “cinghia di trasmissione” fra governanti e popolazione, primo perché, con il suo sforzo di divulgazione, contribuisce a “popolarizzare” le direttive del Partito diffondendole dall’alto in basso così da istruire i cittadini ad affrontare l’epidemia con un atteggiamento “responsabile” e “scientifico”.

Ma anche perché, in secondo luogo, Fang Fang si impegna a fondo per fare arrivare in alto la voce del popolo, comunicandone i disagi e ricordandone i bisogni, denunciando le ingiustizie e sferzando le arroganze del potere, mettendo a nudo le tare del “carattere nazionale” e facendo proposte per riformarlo: ciò che Fang Fang esercita, in parole povere, è un ruolo di supervisione democratica.

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Tutte funzioni, a ben pensarci, che costituiscono il fardello delle responsabilità tipiche dell’intellettuale cinese moderno, ovvero di colui o colei che, in virtù delle sue superiori conoscenze ma soprattutto del suo “senso di premura” (youhuan yishi), ha l’onere e l’onore di fungere da guida e portavoce del popolo nel nome del progresso nazionale.

Oppure, se vogliamo essere pignoli, potremmo dire che prestando questo tipo di servizio Fang Fang viene a svolgere proprio quel vecchio compito che è stato il Partito stesso, almeno sulla carta, ad assegnare agli scrittori molto tempo fa: quello di servire il popolo. È proprio perché Fang Fang ha interpretato questo servizio con coerenza e dedizione che il suo diario ha guadagnato un seguito enorme di lettori, venendo letto ogni giorno da milioni di persone.

*L’autore insegna lingua e letteratura cinese all’Università Orientale di Napoli. Sul sito Sinosfere.com uscirà una versione estesa di questo articolo