Di manoscritti perduti (nei treni, sui taxi e in mille altri modi più o meno fantasiosi) la storia della letteratura è piena. Cosa succede, però, se il testo su cui stai lavorando scompare dallo schermo del tuo computer, non per una tua distrazione (ahimè, ci sono pure quelle, anche se per fortuna oggi è quasi sempre possibile riparare) ma perché il programma che usi ti dice che hai inserito «informazioni illegali» e ti preclude l’accesso al tuo file?
Sembra un incubo, di quelli da cui ci si risveglia con un misto di angoscia e sollievo, ma pare sia successo davvero il mese scorso a un’autrice cinese che pubblica i suoi libri con lo pseudonimo Muti e che a giugno sul forum di letteratura Lkong ha accusato WPS (versione locale di un software di elaborazione testi basato sul cloud, simile a Google Docs o a Microsoft Office 365) di averla spiata e di impedirle di continuare sul suo testo – un testo, tra l’altro, ben più che abbozzato, visto che secondo la scrittrice contava un milione e passa di parole, centinaia e centinaia di pagine.

Nel giro di un paio di settimane, riferisce Zeyi Yang sulla Mit Technology Review, la notizia ha circolato in rete fino a diventare a metà luglio uno degli argomenti più popolari sul gigantesco social network cinese Weibo. Ad alimentare il dibattito online hanno ovviamente contribuito le denunce di altri autori cui pure era toccata in sorte quella che non si può che definire come censura preventiva. In effetti, come scrive Zeyi Yang, «il caso ha messo bene in evidenza la tensione tra la crescente consapevolezza degli utenti cinesi in materia di privacy e l’obbligo delle aziende tecnologiche di agire come censori per conto del governo». E Tom Nunlist, analista della politica informatica e dei dati della Cina presso il gruppo di ricerca Trivium China, con sede a Pechino, ha dichiarato al giornalista che «qui assistiamo in modo molto chiaro a una collisione tra questi due aspetti».

Da parte sua WPS, interpellata sulla questione, ha rilasciato due dichiarazioni nelle quali ha specificato che il software non censura i file memorizzati nei computer locali, mentre nel caso delle condivisioni online si è tenuta – com’era prevedibile – sul vago. Insomma, per ora è impossibile sapere se Muti, al di là della soddisfazione di avere sollevato un caso nazionale, potrà riprendere il lavoro dove lo aveva lasciato o se le toccherà ricominciare da capo.
Quello che è certo, però, è che attualmente il settore editoriale cinese non gode di buona salute. I dati sul primo semestre 2022, riportati da Porter Anderson su Publishing Perspectives, registrano un calo del 13,8 % rispetto ai primi sei mesi del 2021. Colpevole principale, naturalmente, la pandemia e le drastiche misure di contenimento adottate dal governo di Pechino, che impongono continui aggiustamenti di percorso: ne è un esempio la decisione di rinviare per la seconda volta quest’anno la Fiera internazionale del libro per ragazzi di Shanghai, spostata prima da marzo a luglio, e ora da luglio a novembre.

In questo contesto non sorprende che a soffrire siano state soprattutto le librerie fisiche, le cui vendite rispetto al primo semestre del 2021 sono diminuite del 39,7 %. Ma i problemi, nota Anderson, hanno toccato l’intero settore. Sulla base delle rilevazioni di OpenBook, un osservatorio sul mercato editoriale attivo a Pechino dal 1999, la pandemia ha avuto un impatto fortissimo sulla logistica e sul magazzino, con evidenti contraccolpi anche per i canali di vendita online, che hanno cercato di contrastare il calo con un’aggressiva politica di sconti. «Ma una gara a colpi di ribassi alla lunga non è sostenibile», è stato il commento garbato e implacabile di OpenBook.