L’iniziativa cinese di costruire una nuova via della seta marittima riguarda la realizzazione di nuovi corridoi infrastrutturali in grado di velocizzare e rendere stabili i collegamenti lungo le rotte marittime delle navi portacontainer e cargo che, attraverso l’Oceano indiano e il canale di Suez, collegano la Cina all’Europa.

Le mappe diffuse dal governo cinese nel 2013 hanno posto fine a un lungo periodo d’incertezza, mostrando le tappe della via della seta in Vietnam, Indonesia, India, Sri Lanka e Kenia (come scritto dal manifesto il 19 settembre 2014), ma nascondono la reale estensione di un progetto la cui influenza si estende su scala globale.

Africa

La capitale del Kenia Nairobi è l’unico approdo africano della nuova via della seta marittima e dista oltre quattrocento chilometri dalla costa. Durante un incontro a latere del vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba, lo scorso gennaio, il ministro degli esteri Wang Yi, citando il «sogno» del presidente della commissione Zuma di collegare le capitali africane con treni ad alta velocità, ha annunciato l’investimento di 3.8 miliardi di dollari per la costruzione del collegamento logistico dalla città portuale di Mombasa a Nairobi, contestualmente alla firma di un memorandum d’intenti per la realizzazione di infrastrutture in Africa. La presenza cinese in Africa non è una novità ed è soprattutto legata allo sfruttamento della terra e delle materie prime. Tuttavia, come mostra l’intervento di Wang Yi la nuova via della seta, affiancandosi alla costruzione di oltre duemila km di ferrovie e oltre cinquemila di strade già finanziate dalla Cina, promette l’avvio di una nuova fase nel rapporto con il continente.

Il Pireo e le Americhe

Superato Suez, il percorso fa tappa nel Pireo, dove la compagnia di stato Cosco è entrata in seguito alla firma di una concessione ultra trentennale con il governo greco, nel 2011.

Tramite una sua sussidiaria, la Piraeus Container Terminal, Cosco ha eseguito lavori di allargamento dei due moli principali, portando a una crescita esponenziale dei traffici container. Pct è anche in corsa nel processo di privatizzazione avviato nell’ambito del memorandum imposto ad Atene dalla Troika e non ancora escluso dal nuovo governo di Syriza, in mezzo a segnali contrastanti. Il punto di approdo finale è Venezia, il cui porto è al centro di discussioni per la realizzazione di un nuovo terminal off-shore. Se negli uffici della Pct al Pireo si esalta il legame tra le due grandi civilizzazioni greca e cinese, l’inclusione di Venezia è un evidente richiamo al viaggio di Marco Polo. Tuttavia, le scelte del Pireo e di Venezia hanno a che fare più con il presente e il futuro della nuova logistica europea, che non con la storia.

Il Pireo, oggi porto dedicato al transhipment, è infatti un potenziale anello di congiunzione tra la via terrestre e quella marittima, grazie al progetto di collegamenti ferroviari con l’Europa orientale, dove già operano diverse industrie cinesi. Venezia, a sua volta, può diventare porta d’accesso verso la regione europea a più alta densità economica e, attraverso l’attuale cuore logistico d’Europa, la «Blue Banana» con il porto di Rotterdam. Mentre l’Unione Europea è alle prese con la lenta finalizzazione della rete di trasporti Ten-T, la recente inaugurazione dei nuovi collegamenti container diretti con la Cina a Venezia e a Trieste, garantiti dal consorzio Ocean 3, di cui fa parte anche China Shipping, sono forse i primi tangibili segni in questa direzione. E le Americhe? Nonostante non rientrino nelle mappe della nuova via della seta, la Cina sta investendo nei porti cileni di Valparaiso e San Antonio, mentre due progetti sono destinati a modificare in misura radicale gli equilibri in America centrale. Si tratta della zona di sviluppo economico speciale di Mariel, a Cuba, il cui porto container rappresenta un approdo sicuro per le rotte interoeceaniche, e, soprattutto, il mega progetto del canale di Nicaragua.

Il canale, i cui lavori sono da poco cominciati, sarà realizzato da una compagnia privata cinese avvolta in un alone di mistero, la Hong Kong Nicaragua Canal Development, alla quale il governo nicaraguense ha rilasciato una concessione cinquantennale per la sua progettazione, realizzazione e gestione. Se completato, quelli di Nicaragua sarà l’unico canale nelle Americhe navigabile da parte delle navi ultra large, la cui stazza e il cui pescaggio sono troppo grandi per Panama, anche dopo il suo allargamento attualmente in corso. Ciò significa che la via della seta marittima potrà circumnavigare il globo senza dover dipendere, in alcun caso, da infrastrutture controllate dagli Stati uniti.

Una nuova diplomazia

Intorno alla nuova via della seta il governo cinese sta costruendo una nuova, aggressiva, diplomazia delle infrastrutture. La strategia cinese si fonda tanto sull’idea di una cooperazione comune e di una strategia «win win», quanto sulla realizzazione di strumenti in concorrenza con le istituzioni finanziarie a guida statunitense (Banca Mondiale e Fmi) e giapponese (Asian Development Bank).

Accanto alla creazione di un fondo interno di 40 miliardi di dollari per lo sviluppo delle infrastrutture interne, infatti, la Cina ha promosso la creazione di una nuova Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (Aiid) il cui scopo dichiarato è promuovere la connettività regionale. In un recente intervento al Boao Forum for Asia, il presidente Xi Jinping ha spiegato ai partner asiatici come la «nuova normalità» dell’economia cinese possa portare vantaggi a tutti, grazie alle previsioni di importare nei prossimi cinque anni oltre dieci miliardi di dollari di beni dall’estero, investimenti esteri per oltre cinquecento miliardi di dollari e almeno cinquecento milioni di turisti cinesi pronti a viaggiare per il mondo.

La politica delle infrastrutture

Tanto la realizzazione della via della seta e la creazione dell’Aiid possono essere lette, come fanno molti osservatori, come una risposta cinese al prolungato rifiuto da parte statunitense e giapponese di rivedere le modalità di funzionamento del Fondo Monetario, della Banca Mondiale e dell’Adb, e come segno dei un’imminente secolo Asiatico ad egemonia cinese. Tuttavia, la domanda che dovremmo porci è di quale tipo di egemonia si tratta. Se la Cina può essere definita un nuovo tipo di «impero logistico» si tratta infatti di comprendere come funzioni la politica delle infrastrutture che accompagna le operazioni logistiche e che tipo di trasformazioni questa riveli (si veda il manifesto del 21 gennaio 2015).

La Cina promuove i suoi interessi «nazionali» attraverso la via della seta. Tuttavia, non è l’unico soggetto impegnato in una politica globale delle infrastrutture dove la dinamica di competizione tra potenze convive già oggi con altre logiche che coinvolgono diverse forze, pubbliche e private, le cui scelte e i cui interessi si sviluppano lungo i corridoi, più che all’interno di confini omogenei e definiti. Al contrario di ciò che possono far pensare le lenti tradizionali, la prospettiva che si apre, e nella quale sarà necessario riuscire a produrre percorsi politici efficaci, è qualcosa di più vicino a una traduzione in termini geoeconomici delle supply chain industriali che non a un nuovo risiko globale.