Cina e Usa hanno raggiunto una momentanea tregua sui dazi, non certo una pace. Contrariamente a quanto affermato inizialmente dalla Casa bianca, infatti, la Cina ha negato di aver assicurato acquisti dagli Usa per ben 200 miliardi di dollari, cifra che ridurrebbe drasticamente il deficit commerciale di Washington con Pechino. Il «consenso» che si sarebbe raggiunto è in ogni caso effettivo: i dazi che dovevano partire a fine mese non ci saranno e – per ora – la guerra commerciale è rinviata.

IL RISULTATO della seconda spedizione cinese a Washington, guidata da Liu He, ha in ogni caso sbloccato una situazione che sembrava – specie dopo il primo round di incontri – molto a rischio. Lo scontro commerciale tra le due principali potenze al mondo, del resto, non coinvolge solo gli aspetti più specificamente relativi alla bilancia commerciale. In mezzo a questa annosa questione – a Trump va dato atto di averla presa di petto, pur rischiando moltissimi – ci sono situazioni di natura geopolitica tutt’ora in bilico (Corea del Nord e Iran, in questi giorni emissari di Teheran sono a Pechino) e una bilancia temporale tesa verso il futuro, nella quale la Cina sembra ragionare con un la consueta lungimiranza, mentre Trump pare puntare soprattutto alle elezioni di midterm.

QUESTA TREGUA RAGGIUNTA, basata su promesse cinesi tutte da verificare riguardo maggiori acquisti in energia e prodotti derivati dagli allevatori statunitensi e a presunte libertà di movimento in Cina per le imprese americane, sembra favorire soprattutto Pechino: la dirigenza cinese infatti, in cambio di promesse – e di sicuro qualche miliardo verrà restituito agli Usa sotto forma di importazioni nel Celeste Impero – disinnesca due pericoli per il proprio obiettivo finale , ovvero soppiantare al più presto gli Stati uniti.

Benché infatti Washington abbia specificato che si tratta «di un’altra storia», Pechino ha salvato la propria azienda di punta nel mercato delle telecomunicazioni Zte: Trump aveva vietato la vendita di componentistica da parte degli Usa a Zte, accusata di fare affare con Iran e Corea del Nord.

INSIEME A QUESTO importante risultato – anche in termini pratici, perché si tratta di decine di migliaia di posti di lavoro – Pechino ha sventato un attacco (che a questo punto sembra quasi casuale) da parte di Washington contro il proprio impianto «China 2025», ovvero tutta quella produzione ad alta tecnologia (intelligenza artificiale, semiconduttori, robotica) sulla quale la Cina punta tutto il suo futuro.

NEI GIORNI che hanno preceduto l’incontro tra le due delegazioni, dagli Usa si era inoltre alzato un terribile sospetto: che dietro la recente presa di posizione di Pyongyang contro Usa e Corea del Sud, potesse esserci proprio Pechino, grande manovratrice di Kim a proprio vantaggio.

Può essere e potrebbe essere questo il motivo che ha portato l’amministrazione Usa ad accettare il compromesso con la Cina. Per Washington in questo momento l’incontro con Kim sarebbe il più grande successo diplomatico e risulterebbe fondamentale in funzione anche elettorale. Interessanti, come di consueto, le reazioni della stampa statale cinese. Secondo il Global Times, quotidiano nazionalista, costola del giornale ufficiale del partito comunista, la Cina si impegnerà a comprare più prodotti americani, ma quest’ultimi «dovranno incontrare le aspettative del mercato cinese per stimolarne gli acquisti».

DA QUESTA PROSPETTIVA, scrive l’editorialista cinese, «l’intesa ha seguito il principio win-win: gli Usa hanno l’opportunità di ridurre il proprio deficit con la Cina che, a sua volta, otterrà l’acquisto consistente di beni Usa a beneficio dello sviluppo del paese e della vita del suo popolo». Gli Usa hanno promesso di spezzare il blocco all’export di energia, aiutando la Cina a diversificare le sue fonti di approvvigionamento. Ugualmente positivi i commenti arrivati dall’amministrazione Trump: tra gli Stati uniti e la Cina ci sono stati «progressi davvero significativi», secondo Steven Mnuchin, il segretario americano al Tesoro.