Cina e Usa sembrano aver raggiunto una tregua, la cosiddetta fase uno di un ipotetico accordo. In realtà entrambe le parti sembrano sapere bene che un accordo “finale” appare impensabile: gli Usa vogliono un mercato cinese aperto per le proprie aziende anche in settori al momento “proibiti”, mentre la Cina ha già più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di voler cambiare il proprio modello di sviluppo, al momento ancora più che in passato trainato in gran parte dallo Stato.

Si tratta dunque di un compromesso che forse accontenta entrambi i Paesi in questo particolare momento: Trump è alle prese con una procedura di impeachment che è ormai avanzata, Xi Jinping ha bisogno di una tregua per valutare al meglio le mosse successive considerando che il periodo recente è stato particolarmente complicato tra proteste a Hong Kong e fuoriuscita di documenti sul Xinjiang o sulla volontà di liberarsi di software e hardware americano nel giro di tre anni.

Qui di seguito una cronologia di questo scontro dalla fine incerta.

Tutto inizia a marzo del 2018. Dopo aver definito«un orrore» il disavanzo commerciale con la Cina (Washington importa molto più di quanto esporti in Cina), al termine di un’indagine partita nell’agosto 2017 (tramite la sezione 301 dello Us Trade Act, che permette indagini e l’imposizione di misure), Trump dà il via libera alle sanzioni contro un migliaio di prodotti cinesi, puniti da dazi dal valore di 60 miliardi di dollari (sugli oltre 300 di disavanzo commerciale). Le sanzioni vanno a colpire il cuore delle esportazioni tecnologiche cinesi negli Stati uniti, specie il settore della telefonia mobile; significa che per Huawei – ad esempio – potrebbero arrivare brutti segnali dal mercato americano. Insieme agli smartphone saranno colpiti i prodotti più innovativi, ovvero quanto costituisce lo scheletro di quel programma, «Made in China 2025», che costituisce uno dei tanti timbri di Xi Jinping alle attuali ambizioni di Pechino: robotica, aviazione, tecnologia elettronica e prodotti aerospaziali

Ad aprile del 2018 gli Stati uniti ufficializzano la lista degli oltre mille prodotti cinesi che saranno sottoposti a sanzioni del 25 per cento.

Ancora prima che i dazi di Trump contro le merci cinesi entrino in vigore, Pechino rende effettive le sanzioni su 128 prodotti made in Usa. Su 120 (tra cui mango, cocomeri, frutta secca e vino) la tassa sarà del 15 per cento. Su otto, tra cui il maiale, sarà del 25 per cento.

Nella prima risposta cinese c’è un segnale politico a Trump: colpire la sua pancia elettorale. Si tratta del frutto del passato di Xi Jinping: nel 1985, quando ancora non era il numero uno, ma un funzionario in attesa di scalare posizioni di rilievo, l’attuale presidente della Repubblica popolare si recò a Muscatine, Iowa, Midwest americano. Xi andò negli Usa per farsi spiegare come funzionavano i sistemi di coltivazione e per l’allevamento dei maiali.

Nel 2012, poco prima di essere nominato segretario del partito comunista, Xi Jinping si recò negli Stati uniti per incontrare Barack Obama. Xi sconvolse protocollo e organizzazione quando fece una richiesta particolare: chiese di poter tornare in Iowa per andare a trovare i suoi vecchi amici di Muscatine (uno di loro oggi è l’ambasciatore americano nella Repubblica popolare). Xi Jinping dunque conosce bene quella popolazione dello Iowa.

Il 3 maggio 2018 Il «fantastico team» americano – come l’ha etichettato Donald Trump su Twitter – giunge a Pechino. Scopo del viaggio: trovare un accordo, o quanto meno una roadmap capace di portare a una soluzione alla paventata «guerra dei dazi» tra i due paesi. Dopo la missione americana dei funzionari cinesi, si arriva al dunque a Pechino, benché sia improbabile si sancisca un punto comune fin da subito.

Il 21 maggio Cina e Usa raggiungono una momentanea tregua sui dazi, non certo una pace. Contrariamente a quanto affermato inizialmente dalla Casa bianca, infatti, la Cina ha negato di aver assicurato acquisti dagli Usa per ben 200 miliardi di dollari, cifra che ridurrebbe drasticamente il deficit commerciale di Washington con Pechino. Il «consenso» che si sarebbe raggiunto è in ogni caso effettivo: i dazi che dovevano partire a fine mese non ci saranno e – in quel momento– la guerra commerciale è rinviata.

Nel giugno 2018 c’è lo storico incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump a Singapore. La Corea del Nord diventa una dei terreni dove la guerra commerciale si trasforma in una sorta di confronto per procura. L’impressione in quei giorni è che da tutta l’attività diplomatica a guadagnarci possa essere la Cina.

Nel luglio del 2018 si riaccende lo scontro. La piega comincia a virare sul comparto tecnologico: il giorno stesso del via libera di Trump a sanzioni per 34 miliardi contro i prodotti tecnologici cinesi, la Cina ha reagito con la stessa moneta: misure contro oltre 500 aziende americane.

Settembre 2018: Nel giro di due giorni gli Usa hanno imposto nuovi dazi sulle merci cinesi, per un valore di 200 miliardi di dollari – e aumenteranno dal 2019 -, Pechino ha risposto con misure per un totale di oltre 60 miliardi, mentre in contemporanea, a Pyongyang, andava in scena il terzo meeting tra Kim Jong-un e Moon Jae-in sulla questione coreana.

A fine novembre 2018 c’è il G20, ulteriore occasione di confronto tra XI Jinping e Trump: sotto al tavolo c’è il 5G.

[do action=”citazione”]Alla fine il compromesso arriva: Usa e Cina promettono di trovare un’intesa per scongiurare un aumento dello sconto commerciale nell’arco di 90 giorni. Ma tutto salta da lì a poco: in Canada viene arrestata Meng Wanzhou, figlia del fondatore, fermata in Canada. Washington vuole estradarla. L’accusa è aver violato le sanzioni contro l’Iran. Ma la vera posta in palio – come emerge sempre di più – è la sfida al 5G[/do]

A inizio 2019 per la Cina arrivano segnali preoccupanti: Apple decurta le prospettive di vendita, causa il rallentamento dell’economia cinese dovuto ai dazi americani. Ma l’allarme sull’andamento economico di Pechino arriva anche da aziende nazionali.

Xi Jinping intanto si rivolge all’esercito: tenetevi pronti.

Sempre a gennaio, l’arresto di un dirigente della Huawei in Polonia riporta in auge uno scontro sotterraneo a quello sui dazi, legato alle attività di intelligence, o presunti tali, dei cinesi all’estero

Il caso Huawei – intanto- diventa sempre più centrale. Trump finge di non vedere il quadro generale: è la nuova via della seta che trasporterà per il mondo questa nuova postura internazionale della Cina; più velocità negli scambi commerciali e una ovvia «presenza» geopolitica cinese che ormai dal centro Asia, punta al nord Europa, all’Africa e di recente anche all’America Latina.

A inizio febbraio ripartono le trattative. Dialogo con la Cina, Trump ci crede: «Sarà l’accordo migliore mai fatto»

[do action=”citazione”]A fine marzo del 2019 scoppia la grana del memorandum of understanding tra Italia e Cina. Washington è irritata.[/do]

 

Iniziata la visita in Italia del presidente cinese: memorandum più magro, ma è il primo con un paese del G7. Il Quirinale loda la cooperazione economica, ma il governo resta diviso: Salvini diserta la cena per il leader di Pechino, ultimo atto del confronto interno tra 5Stelle e Lega.

E riprendono i negoziati: ottavo round di colloqui.

Si dice che con un accordo sui Big Data si possa arrivare a un compromesso: La chiave della svolta potrebbe essere la disponibilità cinese a rivedere alcuni aspetti della sua controversa legge sulla cyber-sicurezza entrata in vigore il primo giugno 2017. Secondo il Wall Street Journal, Pechino sarebbe pronta a ovviare ad alcune «durezze» del procedimento, alleggerendole nei confronti delle grandi aziende americane e garantendo così quella reciprocità tanto richiesta da Washington.

In che modo non è chiarito, ma secondo una fonte americana «i funzionari cinesi hanno mostrato la volontà di discutere su questioni che in precedenza erano considerate off-limits». Questa eventuale mossa andrebbe a sommarsi ad altre concessioni che Pechino ha fatto di recente, come l’aumento delle importazioni di carne suina e di soia dagli Usa.

[do action=”citazione”]È evidente, però, che se sul piatto c’è la legge che regola il mondo dei Big Data in Cina: arrivare a un punto di incontro potrebbe dimostrarsi piuttosto complicato, considerando come il mercato cinese sia ultra protettivo nei confronti delle tante start-up e «giganti» nazionali[/do]

È proprio il mercato interno, spesso, a potenziare a tal punto le compagnie cinesi da permettergli di affrontare poi con grande baldanzosità i palcoscenici internazionali,  mentre l’Ue si pone il problema: campo di battaglia tra i due giganti o attore capace di ritagliarsi un ruolo?

Maggio 2019: con un tweet, Donald Trump annuncia l’aumento dei dazi a carico delle merci cinesi (per un valore di 200 miliardi di dollari) dal 10 per cento al 25 per cento, affossando le borse di mezzo mondo.

A metà maggio si riparte: la Cina annuncia la sua risposta, con altri dazi contro Washington.

Trump allora prende di petto la questione Huawei, annunciando un decreto esecutivo e l’inserimento dell’azienda cinese nella blacklist. Il colosso hi-tech replica: «Limitarci non renderà gli Usa più forti».

La situazione tracima qualche giorno dopo: Dopo che l’amministrazione Trump ha bloccato le forniture e i servizi a Huawei (e altre aziende, sono circa 700), la decisione di Google di revocare la licenza per il sistema operativo Android sugli smartphone Huawei è una scossa decisiva nello scontro tra Cina e Usa.

L’evento conferma, intanto, che la guerra dei dazi – con le contro-risposte di Pechino – è semplicemente il paravento di una guerra ben più importante e che ha a che vedere con la tecnologia e la supremazia tecnologica mondiale. Significa che gli Stati uniti hanno deciso di colpire in modo decisivo Huawei, seconda azienda al mondo per vendita di smartphone e tra i principali operatori in infrastrutture di reti.

[do action=”citazione”]La Huawei è anche la società candidata a dominare il mercato più importante del futuro, quello del 5G[/do]

Poi per 90 giorni le sanzioni vengono allentate.

Intanto, Xi Jinping fa alcuni discorsi. Il presidente cinese Xi Jinping, nonostante sia considerato da analisti e giornalisti il responsabile del dietrofront cinese nelle negoziazioni con gli Stati Uniti, durante il surriscaldamento delle relazioni tra Usa e Cina e le sue derive tecnologiche tra Google e Huawei, ha tenuto alcuni discorsi all’interno dei quali possiamo tentare di leggere quale sia l’approccio della leadership a questo particolare momento storico

E le aziende Usa mettono in guardia Trump: dall’Adidas alla Nike fino alla Puma, ben 170 aziende calzaturiere americane hanno messo in guardia dalle conseguenze potenzialmente disastrose degli aumenti tariffari proposti contro le merci cinesi

[do action=”citazione”]Fine mese: Dopo la Huawei Trump sembra intenzionato a colpire tutto il comparto cinese della videosorveglianza. Mentre Pechino si prepara a controbattere con una black list di aziende americane[/do]

Nell’estate 2019 scoppia Hong Kong. La Cina non risponde immediatamente, gli Usa sembrano guardinghi. Intanto la Cina comincia a ragionare sulla possibilità di coniare una moneta virtuale e sulla Blockchain

Agosto 2019: Trump provoca la Cina: gli Usa venderanno cacciabombardieri a Taiwan

Ottobre 2019: Fonti americane: accordo con la Cina ancora lontano.

Raccolte di articoli

La Cina e la corsa all’Intelligenza artificiale

Lo scontro hi-tech tra Cina e Usa