In primo luogo le questioni legate al cosiddetto cyberspionaggio. La recente denuncia da parte degli Stati uniti di alti ufficiali dell’esercito cinese ha creato un momento di tensione tra i due paesi. Pechino ha respinto con sdegno i sospetti e ha ricordato a sua volta le denunce dell’analista Edward Snowden sullo spionaggio informatico praticato dai servizi d’intelligence americani, rimandando l’ accusa al mittente.

Da tempo gli Usa accusano la Cina di intromettersi nei sistemi industriali e governativi americani per rubare informazioni. Un report della Mandiant, un’azienda che opera nel settore di sicurezza, presentato un anno fa al Congresso Usa, puntava il dito esplicitamente contro Pechino. La Cina dal canto suo si è sempre difesa denunciando attacchi ai propri server provenienti dagli Usa, finché il Datagate non ha fornito un motivo di rivalsa che forse neanche Pechino si aspettava.

Rimangono poi i problemi legati al turbolento mar cinese (orientale e meridionale) dove Pechino vive da anni contenziosi territoriali, in particolare con il Giappone. Secondo i cinesi gli Stati uniti, attraverso la strategia di Obama di «pivot to Asia», starebbero circondando Pechino, in quello che da sempre è considerato il cortile di casa. Nel suo intervento di ieri in occasione del dialogo strategico ed economico, Kerry ha assicurato che gli Usa «non cercano di contenere la Cina» e ha invitato Pechino a non «interpretare come scelte strategiche» le divergenze tra i due Paesi su temi specifici. Il segretario di Stato ha sostenuto che il «nuovo modello di relazioni» tra le due potenze disegnato da Xi Jinping e dal presidente americano Barack Obama l’anno scorso in un vertice in California «non si definisce con le parole, ma con le azioni .

La vecchia strada della rivalità strategica non è inevitabile, è una scelta«, ha ammonito. Ma la sensazione cinese è che la strategia americana sia invece eccessivamente pervasiva, specie nel momento in cui supporta militarmente paesi come Giappone e Filippine che hanno più di un contenzioso territoriale con la Cina. Non a caso la recente visita di Xi Jinping in Corea del Sud è stata vista da molti non solo come un messaggio al leader nordcoreano Kim jong-un, quanto un chiaro riferimento alla politica americana in Asia.

Il tentativo statunitense è infatti quello di creare un’area di libero commercio che dovrebbe tenere fuori proprio la Cina. Pechino a sua volta ha cercato immediati accordi economici con la Corea del Sud, sottolineando una sorta di ruolo paternalistico nell’area, cui i cinesi sono del resto storicamente abituati. E proprio in relazione alla penisola coreana, ecco un ulteriore motivo di contrasto tra le due potenze. Gli Usa non hanno mai nascosto l’obiettivo di portare Kim jong-un ad un ragionamento per quanto riguarda una Corea denuclearizzata. La Cina presumibilmente sarebbe d’accordo, ma di mezzo ci sono alleanze storiche, che ancora trovano linfa nei pertugi più reazionari dell’esercito e dei funzionari cinesi.

Finché gli Usa spingeranno la propria presenza in Asia in chiara chiave anti cinese, la situazione sarà imballata. Xi Jinping presumibilmente vorrebbe mollare il fardello nordcoreano o quanto diminuire l’intensità del suo supporto, ma ancora i tempi non appaiono maturi. Infine, la Russia. L’accordo trentennale sul gas tra Mosca e Pechino, che comincerà a funzionare dal 2015, è stata una mossa diplomatica storica. Forse accelerata dalla crisi ucraina, durante la quale la Cina ha tenuto fede all’amicizia con Mosca, pur senza troppo trasporto.
L’accordo sul gas ha però ricreato un asse che a Washington di sicuro non è stato particolarmente apprezzato.