«Xue nong yu shui», il sangue è più denso dell’acqua, ha detto Xi Jinping al presidente taiwanese Ma Ying-jeou. È il tono di voce scelto da Xi Jinping per questo storico incontro, il primo dal 1949, tra i presidenti di Cina e Taiwan sul campo neutro di Singapore, a conferma della sua imprevedibilità e calcolata strategia. Un approccio familiare, a sottolineare la «fratellanza» tra Cina e Taiwan (i popoli «delle due sponde dello Stretto di Taiwan sono una sola famiglia», ha detto Xi, che ha aggiunto, «nessuna forza ci può dividere») a discapito del mare che divide i due paesi.

Lunga stretta di mano immortalata dai fotografi, un’ora di dialogo tra i due presidenti e poi cena all’hotel Shangri-la, location di un evento epocale.

Quella di Xi Jinping è stata scelta astuta, in grado di placare tanto gli indipendentisti taiwanesi, quanto i nazionalisti cinesi e mettere sul sentiero di una relazione politica Cina e Taiwan, riconoscendo una diversità dei rapporti rispetto ad altre relazioni diplomatiche che Pechino ha scelto di consolidare soprattutto da un punto di vista economico. Xi doveva ribadire la supremazia cinese, senza oltraggiare la volontà autonomista di Taiwan e senza trattare l’isola alla stregua di Hong Kong, ad esempio. Oltre all’aspetto storico dell’incontro, ci sono tanti rivoli diplomatici, economici, strategici e in definitiva sociali a fare da contorno a questo meeting. Insieme alla necessità, da parte di entrambi i presidenti, di riportare un successo diplomatico in un momento delicato.

Per quanto riguarda il lato cinese, le esigenze di questo incontro erano chiare: la Cina riconosce per la prima volta il governo taiwanese, di fatto, pur considerandolo un territorio proprio. È forse la definitiva abdicazione ad una «riconquista», pur sottolineando la necessaria gravitazione di Taiwan nella sfera di influenza cinese. Ma la relazione economica, in questo caso, non bastava e Xi ha scelto il momento giusto per mettere a segno un importante punto. Dopo gli screzi con gli Usa per quanto riguardo il Pacifico e le zone contese, Xi Jinping ha prima recuperato i rapporti con Corea del Sud e Giappone, in un altro storico incontro trilaterale, poi ha ribadito la propria volontà pacificatrice con il Vietnam, forse il paese più anticinese, insieme al Giappone, dell’area e infine ha incontrato Ma.

Un meeting che testimonia la preparazione di Xi e la sua imprevedibilità. Nessuno si aspettava che Cina e Taiwan potesse incontrarsi, ora. Ma a pochi mesi dalle elezioni di gennaio che probabilmente toglieranno dalle mani del filocinese Kuomintang il governo dell’isola, Xi ha voluto chiarire una cosa: Pechino riconosce il governo di Ma e di conseguenza, sarà pronto a riconoscere anche l’esecutivo del Partito democratico probabile vincitore delle elezioni. Un segnale distensivo importante per tutta l’area che pone Xi Jinping come leader pacificatore dell’Asia e in grado di compiere balzi storici.

Dal punto di vista taiwanese, Ma porta a casa un risultato altrettanto rilevante. Il riconoscimento cinese, senza dimostrare una genuflessione eccessiva di fronte al «padre» cinese è qualcosa di straordinario, tenendo conto del probabile insuccesso che aspetta il Kuomintang alle elezioni. Sul concreto, poi, il presidente di Taiwan Ma Ying-jeou, avrebbe presentato una proposta in cinque punti al presidente cinese. Lo hanno riferito i media di quella che per Pechino rimane un’«isola ribelle», precisando che Ma ha puntualizzato come la sua proposta non voglia «servire fini egoistici ma promuovere il benessere delle generazioni future». I punti contenuti nella proposta, riferisce l’agenzia Cna, includono sforzi per ridurre l’ostilità tra una parte e l’altra dello Stretto, un’espansione degli scambi e l’istituzione di una linea telefonica diretta per risolvere al volo eventuali problematiche che dovessero sorgere tra i due paesi. Nei cinque punti si chiede infine un consolidamento del cosiddetto «consenso del 1992», che regola i rapporti tra i due governi sulla base del principio che esiste una sola Cina, ossia uno solo stato sovrano che comprende la Cina continentale e Taiwan.

È il principio che però viene interpretato in due modi diversi da Pechino e Taipei, anche se alla luce di questo incontro, sembra ormai un dettaglio. Al riguardo è arrivata la risposta cinese, affidata a Zhang Zhijun, dell’ufficio di Pechino per Taiwan. L’indipendenza dell’isola rappresenterebbe la più grave minaccia alle relazioni attraverso lo stretto di Formosa, ha specificato, riferendo il messaggio consegnato alla controparte dal presidente cinese Xi Jinping in apertura dell’incontro a Singapore.

«Siamo tutti fratelli, qualunque cosa accada», ha dichiarato. Il presidente cinese, ha quindi aggiunto il portavoce, ha promesso alla controparte di onorare il cosiddetto «consenso del 1992» e di concentrarsi su sviluppi che potranno essere di beneficio ad entrambe le parti.