Nella giornata di ieri il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente cinese Xi Jinping si sono incontrati per la decima volta negli ultimi quattro anni. Cornice scelta per questo primo «meeting informale» di due giorni – a differenza delle altre visite ufficiali, questa somiglia più a un’enigmatica «visita di piacere», fuor di politichese – le provincia della Cina centrale di Hubei e la sua capitale Wuhan, dove il presidente cinese si è recato appositamente per accogliere il leader indiano.

«IL POPOLO INDIANO è particolarmente orgoglioso del fatto che io sia il primo premier indiano per cui Lei [presidente cinese, ndr] si sia allontanato dalla capitale per due volte per incontrarmi» ha detto Modi a Xi, secondo quanto riportato dai media indiani, dicendosi felice se un simile meeting informale potrà replicarsi in territorio indiano nel 2019. In ottemperanza al carattere informale dell’incontro, scandito dai ricevimenti sontuosi organizzati dall’ospite cinese e da eventi a favor di telecamera tra musei e «spettacoli culturali», l’agenda dei colloqui a livello di delegazione e faccia a faccia tra i due leader è tanto vaga quanto lo saranno i progressi effettivi raggiunti dalle parti nella giornata di oggi.

Si tratta del primo incontro tra Modi e Xi dopo l’escalation delle tensioni militari sull’altopiano di Doklam, in Bhutan, che lo scorso mese di maggio fece spirare venti di guerra tra le due potenze asiatiche portando ai minimi storici i rapporti diplomatici sinoindiani.

RIPORTANDO LA DICITURA ufficiale diramata alla stampa indiana, l’incontro di due giorni verterà sulla «solidificazione dei rapporti tra India e Cina, in conversazioni che verteranno su temi bilaterali, globali e regionali». Un menu talmente vago da permettere di buttare nell’ipotetico calderone dei colloqui praticamente ogni argomento della geopolitica contemporanea che possa vedere Pechino e New Delhi ai lati opposti del tavolo: dalla gestione dei rifugiati tibetani e i rapporti col Dalai Lama, dalle mire indiane per un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu ai fastidi cinesi per l’avvicinamento di New Delhi a Washington e Tokyo, fino agli screzi regionali per quella Belt and Road Initiative cinese (la Nuova Via della Seta, creatura geostrategica di Xi Jinping) sofferta da un’India posizionata in direzione ostinata e contraria, alla ricerca di una via d’uscita dall’accerchiamento politico e commerciale tessuto dalla Repubblica popolare.

L’IPOTESI PIÙ SERIA circoscrive questa operazione mediatica all’interno delle fasi preparative al prossimo incontro tra i due leader, fissato per il 9 e 10 giugno durante la riunione della Shanghai Cooperation Organization, condannando il weekend a risultati politici quantomeno rarefatti.

IL VUOTO SIDERALE dei passi concreti fatti finora, salvo sorprese altamente improbabili riservateci dalla diplomazia sinoindiana per la giornata di oggi, è restituito con fedeltà dalla cronaca minuto per minuto della due giorni operata con dovizia di dettagli dai media indiani: un fiume di tweet «di maniera» dell’entourage modiano, foto della vista dalla camera d’albergo di Modi a Wuhan, Modi e Xi che si stringono la mano davanti a una fila di campanacci esposti al Museo provinciale dell’Hubei (e istantanee di Modi che suona con un bastone di legno i suddetti campanacci).
Misura dell’interesse cinese per l’evento è data dalle scelte del palinsesto televisivo locale: mentre Modi e Xi si stringono le mani, tutte le televisioni della Repubblica popolare mandano la diretta dell’incontro storico in corso in Corea del Sud.