Partite vietate in tv, silenziata la voce degli atleti. Dalla politica alle relazioni diplomatiche tra Paesi, spesso la strategia della tensione viene pagata dallo sport. Il libro della censura si arricchisce di nuovi capitoli nelle ultime settimane. Ed è di nuovo chiamata in causa la Cina: il governo di Pechino recentemente ha messo al bando le partite dei Boston Celtics, una delle più famose squadre del campionato americano di basket, la Nba, la competizione preferita dai cinesi. Niente partite dei Celtics, sono subito sparite quelle in programma sul palinsesto di Tencent.

La decisione è arrivata direttamente da Xi Jinping, furioso per le parole del cestista turco Enes Kanter dei Celtics, che si era scagliato contro la Cina, in un video per l’indipendenza del Tibet. «Il Tibet è libero, non è dei cinesi» ha detto Kanter nella clip in cui si è mostrato con una maglietta sulla quale era stampato il volto del Dalai Lama, ricordando il regime dittatoriale di Xi Jinping (definito «brutale dittatore») e le violenze sul popolo tibetano, proprio nei giorni in cui il governo cinese ha tenuto a far sapere all’Occidente dei passi in avanti sul rispetto dei diritti umani nella regione del Tibet.

Il video di Kanter ha subito fatto il giro del web cinese e le ricerche sul suo nome, su Weibo, sono state subito bloccate. Ora, Kanter non è nuovo a confronti dialettici serrati con i poteri autoritari: lo scorso anno fu pubblicato un suo articolo sul Boston Globe in cui venivano denunciate le decine di migliaia di innocenti rinchiusi nelle carceri turche e il «disprezzo dei diritti umani da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan», così si leggeva sul quotidiano della città del Massachusetts.

Presunto sostenitore del movimento gulenista, Kanter è stato accusato dal governo turco di aver addirittura orchestrato il fallito colpo di stato contro il presidente Erdogan nel luglio 2016. Per anni il cestista turco è stato costretto a evitare ogni forma di contatto con la sua famiglia che si trova in patria, temendo vendette, rappresaglie da parte delle autorità su mandato di Erdogan, al pari di un altro totem dello sport turco, l’ex calciatore di Inter, Parma, Torino, Hakan Sukur, che si è visto confiscare i beni in Turchia ed è costretto a vivere negli Stati Uniti.

Oltre la vicenda Kanter, l’utilizzo della censura nello sport da parte del governo cinese è una specie di continuo avviso ai naviganti, specie verso gli Stati Uniti, a non metter bocca su questioni interne, in questo caso sull’indipendenza del Tibet o sul massacro in atto degli uiguri nello Xinjiang.

Con la Nba il contenzioso è aperto ormai da due anni, da quando un dirigente degli Houston Rockets, Daryl Morey, ha espresso sostegno alla causa dell’indipendenza di Hong Kong dalla Cina durante le proteste nell’ex colonia britannica. Diverse squadre della Nba si trovavano in Cina per delle partite di esibizione prima del via al campionato, molte sono state annullate nonostante i biglietti per il palazzetto fossero esauriti da mesi e la tv di stato cinese, Cctv, decise di oscurare le partite del campionato Nba.

Molte piattaforme cinesi di e-commerce, temendo la mano dura del governo sui loro affari, fecero subito sparire dagli scaffali digitali il merchandising dei Rockets. Il bando cinese alla Nba è costato caro, oltre 400 milioni di dollari di danni alla lega americana, soprattutto per la fuga di alcuni sponsor e solo dopo un lungo lavoro diplomatico le partite Nba sono tornate nell’etere cinese. Ora, il nuovo bando governativo, questa volta solo per i Boston Celtics.

La censura cinese non si è certo fermata alla Nba. Sempre due anni fa, sull’onda delle complesse relazioni diplomatiche tra Cina e Regno Unito è piombata la scure anche sulla Premier League. Per mesi ha resistito il bando alle partite del campionato inglese sulla tv di stato, anche se gli appasssionati – e sono milioni, inclusi quelli di tutto il continente asiatico – del torneo inglese hanno potuto vedere Liverpool, Manchester City e gli altri colossi del football inglese sull’app Pptv.

Si tratta di un altro caso di silenziatore imposto allo sport, nonostante Xi Jinping sia un appassionato di pallone: il programma governativo per lo sviluppo del calcio in Cina, con obiettivo vittoria della Coppa del Mondo entro il 2050, ha aperto all’investimento di capitali (10 mila scuole calcio disseminate nel paese, tecnici di base stranieri strapagati) investimenti nella Chinese Super League, prima della retromarcia, della chiusura al calcio straniero. Un cambio di politica che ha toccato alcuni gruppi industriali come Suning che ha ridotto all’osso gli investimenti all’Inter.

Certo, non c’è solo Cina. Anzi, la Premier League, che si conferma un fenomeno globale, è stata oggetto di censura anche in Iran. Per Manchester United-Tottenham di aprile è stata designata una guardalinee, ovviamente in divisa arbitrale. Tanto è bastato alla tv di stato iraniana (i pantaloncini corti) per oscurare ripetutamente il volto della donna durante la messa in onda della partita. Continue interruzioni, una censura denunciata da diversi personaggi dello sport nazionale.

Sempre la tv di stato di Teheran è entrata in azione con il bisturi tre anni fa per Barcellona-Roma, quarti di finale di Champions League: il logo del club giallorosso che presenta le mammelle della lupa è parso eccessivo a Iran 3, canale pubblico, quindi è scattata la censura, forse un favore ricambiato: lo stato italiano due anni prima aveva ben pensato di coprire i nudi alle statue dei Musei capitolini in occasione della visita ufficiale a Roma del presidente iraniano, Hassan Rohani.

In Iran pure di buon occhio non è stato valutato il primo arbitro donna nel calcio tedesco, per un’edizione della Supercoppa tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Bibiana Steinhaus è stata la causa del bando alla partita nel paese asiatico e anche una gara di Bundesliga, il campionato tedesco, era stata oscurata per la presenza del fischietto donna.