Tra i tanti interrogativi della futura politica estera del presidente eletto americano Donald Trump rientra sicuramente anche la questione Cina-Taiwan. Donald Trump ha svolto una campagna elettorale in chiara direzione anticinese e appena eletto ha accettato di parlare al telefono con la presidente dell’isola che ancora oggi Pechino considera «ribelle».

Per la Cina la telefonata di Trump, rivendicata con i «suoi» consueti toni dal presidente americano («Vendiamo armi a Taiwan e devo farmi dire se rispondere o no al telefono da Pechino?») ha messo in discussione la base delle relazioni Usa-Cina, ovvero il riconoscimento di «una sola Cina». Nonostante questo Pechino ha deciso di ricordare i suoi punti fermi agli Usa, decidendo però di non esagerare nelle reazioni, anche se qualche giorno dopo la marina cinese ha «requisito» un drone americano nelle acque del mar cinese del sud. Insomma l’avvio di questo rapporto tra la nuova amministrazione americana e la Cina non sembra proprio promettente.

A questo si aggiungono gli obiettivi specifici di Taiwan, che pare aver lavorato molto assiduamente per far scoppiare «il caso», in modo da garantirsi anche con la nuova amministrazione una protezione che non è solo diplomatica ma anche militare.

E ieri è giunta la notizia di un probabile «stop» della presidente taiwanese sul suolo americano in occasione della visita che a gennaio terrà in America latina. Secondo lo staff della presidente Tsai Ing-wen si fermerà a Houston e a San Francisco, ma non è stato specificato se ci sarà un incontro ufficiale con personale dell’amministrazione del neo presidente americano. A Pechino tanto è bastato per ribadire la propria posizione: nessuna visita ufficiale, nessun riconoscimento ufficiale di Taiwan. Da Taipei e Washington non sono arrivate né conferme né smentite, mentre i portavoce del ministero degli esteri cinesi ha ribadito la posizione di Pechino.

Ieri, infine, importante novità sul fronte delle cosiddette trattative in corso tra Pcc e Vaticano. Uno dei sette funzionari che siedono nell’ufficio centrale del Politburo ha invitato i cattolici del Paese ad operare «indipendentemente» da forze esterne, promuovendo «il socialismo e il patriottismo» attraverso la religione. A parlare così è stato Yu Zhengsheng. Il discorso è arrivato al termine dell’assemblea della Chiesa cattolica ufficiale cinese.