«L’adolescenza era vera, la democrazia no». Alejandro Zambra, classe 1975 e scrittore cileno, ha posizionato questa frase in uno dei suoi libri più potenti, I miei documenti (Sellerio), una raccolta di racconti – per lui si sono scomodati riferimenti non banali, da Bolaño a Cortazar – all’interno dei quali l’esperienza dell’adolescenza vissuta nel regime di Pinochet prende forza, andando a comporre quella danza cangiante, tortuosa e soave, che compone l’universo letterario di una voce speciale, considerata oggi una delle più originali in tutto il Sudamerica. Zambra ha la forza di imporre una scrittura nitida, scattante e in grado di aprire squarci in ogni momento, solcati dalla straordinaria capacità di riflettere l’io nel noi e l’esperienza personale in quella di un’intera popolazione.

Abbiamo sentito l’autore di – tra gli altri – Modi di tornare a casa (Mondadori) e Risposta multipla (Sur), per chiedere come stia vivendo quanto sta succedendo nel suo paese.

Vivi in Messico da tre anni, ma segui con molta attenzione quanto accade in Cile. Cosa pensi di quanto sta succedendo?
Sono triste di non essere in Cile in questo momento. Ogni giorno mi sento con i miei amici che sono lì e che cercano di capire, partecipare e aiutare. Il governo vuole risolvere la ribellione popolare con pura repressione e zero dialogo. Ma molte persone coraggiose sono disposte a continuare a protestare. In questo momento, con il sistema di trasporto completamente in crisi, il governo insiste sul ripristino di una falsa, impossibile, normalità, mentre il presidente stesso afferma che siamo in guerra. Ha detto proprio così. Vogliono convincerci che tutto sia calmo e normale, dicendo che siamo in guerra.

La protesta contro l’aumento dei biglietti dei trasporti è sembrata l’ultima provocazione del governo, per una popolazione che ha già patito non pochi tagli al welfare.
Tutti i cileni sanno che il Cile è uno dei paesi con più disuguaglianza al mondo. Il capitalismo selvaggio prevale e la protezione fornita dallo stato è minima. So che al di fuori si insiste sul fatto che il Cile è una specie di esempio per la regione, ma la realtà è che le regole del gioco continuano a favorire esclusivamente i ricchi. I tassi di povertà sono bassi, ma esiste una classe medio-bassa, che aspira a miglioramenti che semplicemente non arrivano. E vedono ogni giorno come i ricchi si arricchiscono e come lo stato non le protegge portando le persone a indebitarsi e ammalarsi.

Che idea ti sei fatto della reazione del presidente?
Piñera ha dato prova di incompetenza suprema. Tutte le reazioni alla crisi da parte del governo sono state raffazzonate, sbagliate e violente. Vedere i militari per le strade, in uno Stato che si definisce democratico, è qualcosa di atroce. Ci sono stati anche ministri che hanno preso in giro, scanzonandole, le persone che hanno criticato in modo netto questa scelta. Alcuni ministri hanno un’impressionante insensibilità. Non hanno idea della politica o di quello che dovrebbe essere la vera vocazione dei dipendenti pubblici. Sono diventati imprenditori che però neanche capiscono quale sia il lavoro che devono svolgere.

Il coprifuoco richiama subito al periodo di Pinochet…
Siamo di fronte a un atto che ha come unico scopo quello di voler intimidire, facendo appello alle paure del passato. Si tratta di una vera e propria vocazione autoritaria, con il diritto continua a convalidare, di fatto, la dittatura di Pinochet. Penso che parlare della dittatura non parli del passato, perché praticamente tutto in Cile deve essere spiegato risalendo al tempo della dittatura. La costituzione che governa il Cile – questo va ricordato – è quella che Pinochet ha ideato nel 1980. Hanno fatto mille riforme ma è ancora la stessa costituzione creata durante il periodo della dittatura. Questo è inspiegabile. C’è stato un forte movimento sociale che chiedeva una nuova costituzione ma non c’è stato niente da fare, non vogliono cambiarla.