«La moltitudinaria, allegra e pacifica marcia di oggi, con la quale i cileni chiedono un Cile più giusto e solidale, apre grandi cammini di futuro e speranza»: queste non sono le parole di un dirigente del Cones – il Coordinamento nazionale degli studenti delle secondarie -, né di un dirigente del Partito Comunista cileno, bensì del presidente Sebastián Piñera in riferimento alla mobilitazione più numerosa che abbia mai avuto luogo in Cile, e che è stata organizzata proprio contro di lui. Piñera prova a negare che la manifestazione, le sue consegne, i canti, i muri dipinti, i cartelli, fossero critici del suo governo in generale – «destra assassina» – e della sua figura in particolare.

PIÑERA È L’OBIETTIVO, in realtà, perché non c’è un «andatevene tutti». La grande partecipazione ha avuto come rovescio della medaglia la mancanza di organizzazione – senza una presenza visibile di partiti e sindacati identificabili con chiarezza – tale da favorire un margine d’azione ai carabineros e alle forze armate per reprimere una massa di persone che correva e si disperdeva senza una meta precisa. «Tutti abbiamo ascoltato il messaggio. Tutti siamo cambiati. Con unità e l’aiuto di Dio, percorreremo il cammino verso un Cile migliore per tutti», ha continuato il presidente, in serata, sui social.

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IL GIORNO DELLA MARCIA storica – si stima un milione di persone sulle strade di una città di poco più di sei – è cominciato con la conferenza stampa della federazione sindacale Cut (Central unitaria de trabajadores) nella quale la presidente, Bárbara Figueroa Sandoval, chiedendo la fine dello stato d’emergenza, ha rimarcato che «non c’è una crisi di ordine pubblico, ma una crisi sociale politica profonda».

«Il problema del Cile – ha aggiunto – è la sua diseguaglianza. Gli imprenditori non devono fare beneficenza ma discutere l’aumento del salario reale». Sandoval ha inoltre chiamato alla formazione di un’Assemblea costituente per discutere una nuova Costituzione che sostituisca l’attuale, del 1980, nata nel pieno della dittatura di Pinochet.

IL GOVERNO, dice ancora Sandoval, «non ha margine» per ignorare la base, e «le grandi mobilitazioni di questi giorni dimostrano che ciò che la cittadinanza sta chiedendo non è solo rappresentatività ma anche che si ascoltino le loro voci in modo diretto». Al termine della conferenza tutti si sono diretti verso un picchetto di lavoratori a pochi metri dall’iconica Torre Entel di Santiago.

VALENTINA MIRANDA, 19 anni, è portavoce nazionale del Cones ed è stata detenuta dai carabineros durante il coprifuoco. «Eravamo in un cacerolazo pacifico e dal niente è apparsa una pattuglia che ha iniziato a perseguire proprio noi, quando in strada eravamo circa trenta, e ci siamo messi a correre verso l’ingresso del nostro edificio, con i carabineros dietro di noi.

[do action=”citazione”]Lì è iniziato un pestaggio nel quale mi hanno spruzzato in faccia gas urticante che mi ha provocato una reazione allergica e, una volta al commissariato, una crisi di panico. Ci sono state tante irregolarità. Se non fosse stato per l’intervento di due pubblici ministeri forse saremmo detenuti ancora oggi.[/do]

Valentina però non si sofferma solo sull’episodio: «Il presidente ci deve ascoltare perché si è dimostrato che il Cile è il fallimento del modello neoliberalista. Se non siamo capaci di cambiare questo sistema che precarizza la vita, il Cile continuerà con questa mobilitazione sociale, e se il presidente non fa nulla esigeremo la sua rinuncia».

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DALLE 15 GIÀ SI INIZIANO a sentire con maggior intensità clacson, fischi e pentole dirigendosi verso Plaza Italia, punto del concentramento, ma la partecipazione numerosa ha finito per invadere tutte le strade circostanti. Il corteo principale ha occupato viale Libertador Bernardo O’Higgins e in una strada parallela ha avuto inizio uno scontro tra manifestanti e carabineros, con lanci di pietre e gas lacrimogeni.

«Chi non salta è paco (poliziotto)» o «presto vedrete, le pallottole sparate vi ritorneranno indietro», hanno cantato i manifestanti sin dall’inizio. Le bandiere più presenti: la cilena e quella Mapuche (il 9,9% della popolazione si auto-percepisce come tale).

UN GIOVANE PROFESSORE, insegnante di musica in una scuola «in campagna», non dice il suo nome ma commenta: «È importante per i miei alunni che un loro professore li rappresenti in piazza, con idee chiare, con un popolo unito, cosciente delle necessità che abbiamo noi professori ma anche il resto dei cittadini, che sono in condizioni ancora peggiori». Nelle sue mani un cartello: «Sono un prof. Insegno a pensare, non a obbedire».

 

LA MANCANZA di organizzazione ha lasciato ogni gruppo alla propria sorte. Alcuni hanno cercato di arrivare alla Moneda (il palazzo del governo) ma le transenne e i militari che lanciavano gas ne impedivano l’avvicinamento. Al ritorno, gran parte delle strade continuavano a essere transennate, in altre la gente scappava, c’erano roghi, barricate, oltre a vetrine rotte di sportelli bancomat e negozi.

In serata è arrivato un altro messaggio di Piñera che non lascia dubbi sulla reale volontà di ascoltare le richieste della piazza. Appare tardivo – infatti – il suo annuncio della fine dello stato d’emergenza insieme a una «Agenda sociale» senza modifiche strutturali. Ad oggi il presidente governa con la Costituzione pinochetista, reprime con i militari sulle strade e, adesso, chiede la rinuncia ai suoi ministri nel tentativo di smarcarsi. Ma nelle strade insistono assestando il colpo «Piñera le tue mani sono sporche di sangue!».

(Traduzione di Gianluigi Gurgigno)