Quello che prevedevano e temevano le forze popolari si è realizzato: un accordo tra tutti i partiti – a eccezione del Partido comunista – per la celebrazione, il prossimo aprile, di un plebiscito su una nuova Costituzione, mirato prima di tutto a mantenere Piñera al potere e a porre fine alle proteste di piazza.

In base all’accordo raggiunto, che il quotidiano conservatore El Mercurio non ha esitato a definire storico, il popolo cileno dovrà non solo esprimersi a favore o contro l’elaborazione di una nuova Carta costituzionale, ma anche scegliere l’organismo incaricato di redigerla: una Convenzione mista costituzionale o una Convenzione costituzionale. La prima composta al 50% da rappresentanti eletti e per l’altra metà dagli attuali parlamentari, la seconda interamente votata dal popolo, attraverso elezioni fissate nell’ottobre del 2020.

Quindi, una volta elaborato il testo, sulla base di una maggioranza dei due terzi, la nuova Carta dovrà essere sottoposta, per la ratifica, a un secondo plebiscito, in coincidenza con le elezioni presidenziali del 2021. Sull’accordo, tuttavia, è già arrivata la bocciatura dei manifestanti, che lo interpretano come una colossale trappola, già evidente dalla cura con cui si è evitato di utilizzare l’espressione «Assemblea costituente».

Anche nel caso della cosiddetta Convenzione costituzionale – si chiedono -, quale cambiamento reale potrebbe mai venire da rappresentanti scelti in base a un sistema elettorale disegnato su misura dei grandi partiti e di una casta di politici milionari che potranno comunque far valere il loro potere di veto? Nessuno può credere – sottolinea per esempio il Partido de Trabajadores Revolucionarios – che quegli stessi politici eredi della dittatura possano adottare «soluzioni favorevoli agli interessi dei settori popolari».