Appuntamento con la poesia cilena a Cannes dove sono in programma nella prestigiosa Quinzaine des réalisateurs due film ambientati entrambi negli anni quaranta: Poesia sin fin di Alejandro Jodorowsky e Neruda di Pablo Larrain, due nomi che spiccano nel programma del festival. Nel primo come nel secondo film ci troviamo nel pieno di una magnifica epoca creativa. Jodorowsky tornato al cinema senza mai abbandonare per questo letteratura, teatro e tarocchi, dopo più di venti anni con La danza della realtà(2013) che evocava i suoi primi anni di vita nel paesino di Tacopilla, prosegue il racconto autobiografico da quando nel 1939 la sua famiglia si trasferì nella capitale, a Santiago, gettandolo inizialmente in uno stato di profonda solitudine e poi aprendolo all’arte.
«Gli anni quaranta, dice Jodorowsky, sono stati fantastici: in tutto il mondo c’era la guerra e in Cile no, e poi accadde il miracolo, in Cile arrivò la Poesia, Neruda, Gabriela Mistral che vinsero il premio Nobel, ma anche Nicanor Parra, Enrique Lihn» e tutto quel fermento di cui Rpberto Bolaño lascia tracce evidenti nel suo I detective selvaggi. Per raccontare cos’era quel paradiso spirituale rimette in scena la sua giovinezza con la certezza di essere nato in Cile per incontrare l’arte sulla sua strada. Interpretano il film il nipote Dante che fa se stesso da ragazzino, il figlio Adan come Alejandro quando da giovane fu introdotto nei laboratori teatrali, negli atelier di pittori e scultori, nei tratrini di marionette, mentre il figlio maggiore Brontis è suo padre e nel cast compare perfino Carolyn Carlson, la celebre étoile: legge i tarocchi a modo suo, danzando. Incredibilmente il regista di La montagna sacra, El topo, Santa sangre, famoso in tutto il mondo, ha avuto bisogno di creare un crowfounding per poter realizzare il suo nuovo film, appoggiato dal governo francese e anche giapponese visto il grande successo al botteghino ottenuto nel paese da La danza della realtà.
Realizzato così orgogliosamente «fuori dall’industria» Poesia sin fin dopo Cannes sarà il 10 giugno al Louvre e quindi al Moma di New York (non che la cosa lo sorprenda più di tanto: «il cinema per me è arte, dice, e deve essere presentata nei musei»). In mente ha una serie completa di cinque film, fino ad arrivare ai giorni nostri: a 87 anni quanti Jodorowsky ne ha ora sembrerebbe un progetto piuttosto impegnativo, forse realizzerà prima I figli del Topo sequel del suo famoso film lisergico degli anni settanta.
Pablo Larrain da Cannes ricevette la consacrazione con Tony Manero nel 2008, nel 2012 aumentò la sua fama con No i giorni dell’arcobaleno ed ora, tra le sue molteplici attività, dopo aver appena realizzato la regia scenica dell’opera lirica Katia Kabanova di Janacek (del 1921) al teatro Municipal di Santiago, è al festival con Neruda un film che curiosamente racconta la stessa epoca del film di Jodorowsky. Ma non si tratta di una biografia del poeta, piuttosto una sorta di noir, come lo sono stati per atmosfera e misteri irrisolti in parallelo un po’ tutti i suoi grandi film politici. Si tratta di una misteriosa caccia all’uomo, la vera indagine che condusse nel ’48 l’agente investigativo Oscar Peluchonneau (Gael Garcia Bernal l’attore messicano protagonista di No) incaricato dal governo del dittatore Videla di arrestare il poeta. Ma perché, si domanda il regista, non riuscirono mai a trovarlo? lo cercarono trecento poliziotti per più di due anni, da quando il poeta fu costretto a fuggire. Videla ordinò di catturarlo, ma forse preferì anche che non accadesse, perché ne avrebbe avuto un pessimo ritorno di immagine. Neruda in clandestinità accompagnato dalla moglie Delia Del Carril (Mercedes Moran), pittrice all’epoca assai più famosa di lui, passò la cordigliera (fui el fugitivo de la policia: /y en la hora de cristal, en la espesura/ de estrellas solitarias/ crucé ciudades, bosques…) sempre continuando a scrivere. La strana caccia ha portato a una inaspettata scelta del protagonista: Luis Gnecco, attore di serial tv, cattivo per eccellenza (è stato perfino in una serie Karadima, il sacerdote sospeso per pedofilia), nato come attore comico, per mettere in evidenza un aspetto meno conosciuto di Neruda, il suo senso dell’umorismo. Forse anche questo accomuna in un certo senso i due film, una visione meno divina del vate, visto dai giovani dell’epoca, come racconta Jodorowsky, come un «grasso Budda troppo perfetto» mentre loro si sentivano più vicini a Nicanor Parra, «poeti scesi dall’Olimpo».
La situazione paradossale, nota Larrain, è che tutta quella generazione viveva a quell’epoca sogni magnifici, ma noi oggi sappiamo quello che sarebbe successo in seguito.