Con il Cile nuovamente sotto i riflettori internazionali per la lotta popolare contro la pesante eredità di Pinochet, risulta di indubbio interesse la lettura della poco conosciuta vicenda che Tarcisio Benedetti racconta in prima persona nel libro Alborada. La tipografia della libertà (Edizioni Lavoro, pp. 144, euro 15). Se infatti è noto come l’ambasciata italiana a Santiago, diventata un’insperata isola di salvezza per centinaia di perseguitati politici, abbia scritto proprio negli anni oscuri del regime militare cileno una delle più belle pagine della storia della nostra diplomazia, in pochi conoscono il contributo dell’Italia alla vittoria del «No» al plebiscito del 1988 per la riconferma di Pinochet come presidente.

LA VICENDA, di cui l’autore è uno dei protagonisti, si svolge in particolare tra il 1988 e il 1990, l’anno dell’insediamento di Patricio Aylwin con cui viene sancito il ritorno alla democrazia nel paese. Ma tutto ha inizio nel 1985, quando al Congresso della Cisl viene invitato il dirigente sindacale cileno Manuel Bustos, il quale propone un progetto di cooperazione a sostegno di un’informazione democratica in grado di rompere il monopolio della dittatura sui mass media.

NASCE COSÌ, con la collaborazione tra l’Iscos, l’ong della Cisl, e i rappresentanti del sindacato cileno, oltre a quelli dei partiti dell’opposizione e della Vicaría de la solidaridad di Santiago, il progetto Alborada per l’installazione di una grande tipografia impegnata nella stampa dei giornali di opposizione: il Fortín Mapocho e La Epoca. Un centro grafico che sarebbe diventato di lì a breve il punto di riferimento di tutte le forze di opposizione, stampando il 70% dei materiali della campagna elettorale per lo storico plebiscito.
È a questo progetto che, nel 1987, viene chiamato a partecipare l’autore, all’epoca delegato sindacale Cisl presso la Mondadori, che in Cile aveva già svolto per quattro anni il servizio civile come volontario del Mlal (Movimento laici America latina), insegnando in una scuola professionale a Curanilahue, da dove era dovuto scappare precipitosamente per evitare l’arresto da parte del regime.

«SI PERCEPIVA nell’aria una tensione strana, piena di attese e di impazienza», racconta Benedetti, ricordando la battaglia impari combattuta nel 1988 e vinta malgrado la paura delle persecuzioni, i timori di una frode elettorale e l’enorme quantità di soldi spesa dal governo nella campagna per il «Sì»: «Trovami tutte le risorse necessarie, perché dal potere non mi toglie nessuno», aveva raccomandato Pinochet al suo capo di gabinetto.
Una battaglia vinta, anche, grazie a una scelta tutt’altro che facile, di fronte ai misfatti e agli orrori compiuti da Pinochet: quella di condurre la campagna per il «No» all’insegna della creatività e dell’allegria, proprio quella che era andata persa sotto il regime militare. Un’allegria che sarebbe esplosa alle 3 del mattino del 6 ottobre: «¡Corrió solo y llegó segundo!», ha corso da solo ed è arrivato secondo, fu il celebre titolo del Fortín Mapocho.