A 48 anni dal golpe in Cile, il sogno di Salvador Allende – quello dei «grandi viali per dove passerà l’uomo libero per costruire una società migliore» – appare ancora molto lontano.
E se a imboccare quei grandi viali ci sta provando, da poco più di due mesi, la Convenzione costituente, si tratta però di un percorso pieno di ostacoli, come indicano i tentativi delle forze conservatrici di oscurarla, screditarla e spingerla all’angolo.

NE HA OFFERTO UN ESEMPIO significativo l’enorme risalto dato alla notizia che il costituente della Lista del Pueblo Rodrigo Rojas Vade – che con il suo slogan «Non lotto contro il cancro, lotto per pagare la chemio» era diventato uno dei simboli della rivolta sociale – in realtà il cancro non ce l’aveva. E che fosse comunque malato, non di cancro, ma di Aids, non è stata considerata un’attenuante. «Ho una diagnosi che ho tenuto nascosta per sfuggire allo stigma sociale», ha spiegato Rojas Vade, presentando la rinuncia alla vicepresidenza della Convenzione.
Ma per la Lista del pueblo, quella degli indipendenti di sinistra che aveva brillato alle elezioni per la Convenzione costituente (ottenendo ben 24 seggi), è stato solo l’ultimo atto di un vero e proprio suicidio politico.

Le disavventure erano iniziate con la scelta del candidato alle presidenziali del prossimo 21 novembre, caduta sul rappresentante mapuche Diego Ancalao malgrado la sua passata militanza nella Democracia cristiana e nella Nueva Mayoría e la sua scarsa rappresentatività rispetto alle rivendicazioni emerse dalla rivolta sociale. Ma il peggio è stato che, di lì a poco, Ancalao si è visto cancellare la sua candidatura per aver presentato firme false.

UN PASTICCIO che ha provocato una decina di defezioni tra i costituenti della lista, finché 17 di loro non hanno deciso di organizzarsi autonomamente dando vita a un nuovo gruppo, chiamato Pueblo Constituyente, concentrato esclusivamente sul compito di redigere una nuova Costituzione.
Neppure la sinistra tradizionale, tuttavia, sembra in grado di alimentare speranze, soprattutto a fronte dell’esito delle primarie di luglio della lista Apruebo Dignidad. A vincere, battendo il favorito Daniel Jadue del Partito comunista, è stato infatti Gabriel Boric del Frente Amplio, a cui gli studenti non perdonano di aver abbandonato la lotta per un’educazione pubblica e gratuita firmando nel 2012 la cosiddetta «beca de gratuidad universitaria», con cui è rimasto praticamente inalterato l’attuale sistema educativo.

E ancor meno gli perdonano il sostegno, nel 2019, non solo all’accordo con il governo Piñera «per la pace sociale e la nuova Costituzione» ma anche alla famigerata legge anti-barricate, mirata a criminalizzare ulteriormente il movimento di protesta.

SENZA CONTARE CHE, nell’ambito della Commissione per il regolamento della Convenzione costituente, incaricata di definirne le linee di funzionamento, il Frente Amplio ha votato insieme ai conservatori e al Partito socialista contro la proposta della Lista del Pueblo, del Partito comunista e dei popoli originari di abbassare il quorum dai due terzi previsti dall’«accordo per la pace» ai quattro settimi. Cosicché una minoranza del 33% legata agli interessi della classe imprenditoriale potrà esercitare il suo potere di veto contro qualunque cambiamento diretto a superare il modello neoliberista.

È questo uno dei punti centrali del testo sul regolamento ora all’esame della plenaria della Convenzione, la quale lo armonizzerà con le proposte emerse dalle altre commissioni transitorie, a cominciare da quella sui diritti umani.

PROPOSTE COME QUELLA relativa al riconoscimento della natura come soggetto di diritto, alla plurinazionalità e alla restituzione dei territori ancestrali. O quella della sostituzione del corpo dei carabineros, la cui implacabile repressione della rivolta li ha resi tra i nemici più acerrimi dei manifestanti, i più acerrimi dei manifestanti, con «un servizio pubblico che eserciti la funzione di polizia nel rispetto illimitato dei diritti umani».
Tuttavia, nessuna delle proposte più avanzate avrà vita facile. Ciò che è in corso nella Convenzione, presieduta dall’attivista mapuche Elisa Loncon, è infatti un duro scontro tra la classe dominante e le forze del cambiamento, tra le quali i popoli indigeni giocano indubbiamente un ruolo centrale.

SI SPIEGANO IN QUESTO QUADRO le polemiche scatenate dall’uso del mapudungún, la lingua usata dai mapuche, con l’attacco della costituente di estrema destra Teresa Marinovic contro la machi Francisca Linconao, colpevole di rivolgersi all’organismo in lingua originaria. «Sa parlare in castigliano, ma non importa: non perde l’occasione di fare uno show», ha commentato Marinovic attirandosi un’ondata di critiche sulle reti sociali.

Ma per i costituenti mapuche gli attacchi della destra sono solo una parte della storia. Più dolorosa è di certo l’opposizione espressa nei loro confronti da altri mapuche, quelli delle Comunità in resistenza di Malleco, i quali il 7 settembre, di fronte alla sede della Convenzione, hanno dato voce alla loro protesta, nella convinzione che «l’irresponsabile e incoerente» partecipazione mapuche alla «Convenzione costituente dello Stato del Cile» finirà per compromettere «in maniera irreversibile» la rivendicazione di «indipendenza territoriale» del loro popolo.

«Noi non siamo gli indigeni del Cile, siamo Mapuche», hanno affermato, non senza denunciare la persecuzione politica e giudiziaria dello stato.