Nel giugno del 1970 i cittadini polacchi di Radom protestavano violentemente per l’aumento dei prezzi della carne. Fu così che nacque il Comitato di difesa degli operai (KOR) che conteneva in nuce i postulati di Solidarnosc. Situazioni all’ordine del giorno che richiedevano ai cittadini tanta pazienza da gestire in file interminabili per mettersi qualcosa sotto i denti. E vero allora nei paesi del patto di Varsavia bisognava accontentarsi di quello che finiva nel piatto. Anche se il dibattito sul gusto è rimasto stagnante negli anni novanta, è già da molto tempo che i paesi ad Est di Berlino sono pronti ad affrontare un discorso su etica alimentare e tradizioni gastronomiche locali. E sbaglia anche chi pensa che i paesi dell’Europa Centrale non possano permettersi di coltivare, allevare e cucinare seguendo un «tempo lento» soltanto per recuperare il terreno perso negli anni della transizione al capitalismo.
Ne sa qualcosa Jacek Szklarek, presidente di Slow Food Polonia, molti anni vissuti in Italia prima di prendersi l’incarico di diffondere tra i suoi concittadini il verbo e le pratiche del movimento fondato da Carlo Petrini. È vero, il cibo in Polonia è ancora troppo raramente «buono, pulito e giusto», ma le cose stanno cambiando, anzi, sono già cambiate. Il salone Slow Food Central Europe ospitato da diversi anni a Cracovia ne è la prova. Ci sarà di nuovo anche Ruslan Torosyan agronomo armeno e coordinatore del Presidio del formaggio motal. Tanti ospiti da tutto il mondo anche quest’anno per non abbassare la guardia su temi come CETA, TTIP, OGM e Roundup.

Il gusto ma anche le sfide difficilissime che dovranno essere raccolte dalle nuove generazioni: «Durante una lezione alla facoltà di agraria a Cracovia di fronte a trecento studenti ho chiesto quanti di loro intendessero diventare agricoltori. Nessuno ha alzato la mano», ha raccontato Petrini a Szklarek. Il fondatore di Slow Food si ricorderà sicuramente di Maciej Jaros, carismatico apicoltore polacco diventato il personaggio simbolo di Slow Food Polska. Il suo idromele, il fermentato più antico del mondo, conservato in bottiglie artigianali di terracotta continua a stregare quelli che bazzicano la scena Slow Food in tutto il mondo.

Le mele

Sì l’ambrosia di Jaros ma anche la vodka distillata con meticolosità dalla patate e soprattutto il sidro, il cui revival negli ultimi anni è stato favorito dall’embargo putiniano sulle mele polacche. Si affinano anche gusti, e i polacchi cominciano ad apprezzarlo nella sua variante secca, proprio come inglesi bretoni, asturiani. Spopolano anche i sidri monovarietali prodotti ad esempio utilizzando soltanto la varietà Grochowka (Smykan) o Antonowka (Ignacow). Ma è una riscoperta a tutto tondo quella delle mele in Polonia dove alcune antiche varietà slave poco produttive come Koksa o Kosztela, date per scomparse, si riaffacciano timidamente nei mercati rionali.

Un sidro secco sarebbe l’abbinamento perfetto ad un pesce di acqua dolce, magari una trota allevata nel Parco nazionale di Ocjow nel sud della Polonia. Un prodotto locale buono pulito e giusto dal gusto delicato, degno di una maggiora considerazioni così come tutti gli altri pesci di acqua dolce che abbondano nei laghi polacchi. Prodotti che finiscono per essere affumicati, vuoi per tradizione, vuoi per necessità. Il gusto della carpa e del pesce gatto con il fumo diventano indistinguibili l’uno dall’altro.
A volte infatti ci si ritrova di fronte al dilemma di dover scegliere tra gusto e tradizione. La Polonia ha vinto la sua battaglia con la burocrazia UE che consente di aggirare la soglia di due 2 mg di idrocarburi policiclici aromatici per ogni chilo di prodotto. Basta che siano iscritti nella lista dei prodotti tradizionali polacchi in modo da consentirne un’affumicatura meno leggera, a patto però che non vengano esportati.

Le ricette perdute

C’è da risalire la china anche perché molti metodi produttivi e ricette d’antan sono scomparsi progressivamente quando la Polonia è entrata nell’orbita dell’Unione Sovietica. Ma l’interesse filologico per le ricette perdute ha permesso di salvare alcuni prodotti come il pane Pradnicki e numerosi distillati che poco hanno a che fare con quella vodka servita ai turisti, o esportata all’estero. Resta comunque da fare moltissimo per correggere le storture del mercato interno. Nonostante il numero di capi ovini in Polonia si sia contratto drammaticamente negli anni novanta, ce ne sarebbero abbastanza da produrre per tutti formaggi come il Bryndza Podhalanska DOP ma anche da soddisfare la domanda locale di carne di agnello e invece ecco che compare sui banchi dei supermercati il ben più costoso agnello neozelandese. Per non parlare delle oche allevate in Polonia, vendute a ditte tedesche, e ridistribuite surgelate nel loro paese di origine. Sono anni che Szklarek, insieme ad alcuni chef polacchi, organizza l’iniziativa «Carne d’oca a San Martino» per promuoverne il consumo a ridosso dell’11 novembre, come da tradizione locale. Una pratica affine al «Martinsgans» tedesco di origine medievale. I ristoratori locali hanno risposto bene. Ma San Martino in Polonia significa anche vino novello. Ebbene sì, anche i polacchi vinificano. Ma questa è un’altra storia. Chissà se anche Nossiter lo sa.