Da venerdì a domenica, Slow Food Italia celebra a Montecatini Terme (Pt) il suo nono congresso. Un appuntamento rivoluzionario, da cui l’associazione uscirà con un nuovo vertice, un comitato esecutivo formato da sette persone, ma senza un presidente, dopo Carlin Petrini, Roberto Burdese e Nino Pascale, in carica dal 2014, dopo esser stato per otto anni presidente di Slow Food Campania e in precedenza fiduciario della Condotta della Valle Telesina tra il 2000 e il 2006. Sarà lui ad aprire i lavori di Montecatini. «Sono il primo presidente non di Bra – racconta Pascale, agronomo di Guardia Sanframondi (Benevento), all’ExtraTerrestre – e questo ha avuto l’effetto di responsabilizzare tutta l’organizzazione: i territori sono consapevoli che la guida della macchina sta in capo a loro. Slow Food siamo tutti noi che ne facciamo parte».

Per questo, il nono congresso cambia anche modalità di svolgimento: il sabato non ci sarà una plenaria, ma tutti i delegati presenti – circa 650 persone – saranno divisi in gruppi di lavoro, che discuteranno tra le 9.30 e le 13.30 e tra le 15 e le 18.30 il «programma di mandato», che impegna l’associazione per un biennio. «In plenaria parlerebbe al massimo un decimo dei presenti – sottolinea Pascale – ma un congresso è un’occasione unica per ascoltare la voce di tutti i membri dell’associazione».

DENTRO IL PROGRAMMA DI MANDATO c’è la dichiarazione di Chengdu, che ha chiuso il congresso internazionale che si è tenuto nei giorni a cavallo tra il settembre e l’ottobre del 2017 in Cina, e le sei mozioni che la accompagnavano. «Un documento politico, che affronta la questione dei diritti globali, che riguarda gli uomini, tutti gli esseri viventi e ovviamente la natura. Parla di accoglienza, di solidarietà, di attenzione verso i più fragili. Le sei mozioni ne sono la declinazione: tracciano l’ambito di lavoro dell’organizzazione internazionale, un impegno che può essere declinato a livello nazionale, per diventare un pezzo importante della discussione congressale».

Così il cibo, tradizionalmente definito «buono, pulito e giusto», diventa anche «sano», evidenziando – spiega Pascale – «il tema della salubrità, il rapporto con la salute, un tema che sta diventando fondamentale, una specifica, non un aggettivo in più: abbiamo preso un pezzo di “buono” e lo abbiamo esplicitato».

ATTORNO AL CIBO, E A PARTIRE DAL CIBO, in questi anni Slow Food ha costruito il proprio universo d’azione, che parte dalle scuole e dalle mense, dove s’insegna ai bambini a fare l’orto e a mangiare in modo equilibrato, e lega quest’azione locale ai temi epocali del ventunesimo secolo: i cambiamenti climatici, la difesa della biodiversità (realizzata nei Presìdi), l’Africa («una questione sottovalutata, come tutte le questione ambientali», sottolinea il presidente uscente di Slow Food Italia), la fragilità del territorio e dei suoi abitanti (Stati generali dell’Appennino), oggi la questione dei migranti. «Un’organizzazione come la nostra deve lavorare a svelare la complessità, e questo in special modo quando chi ci governa si dimostra meno attento. Se guardo a come viene affrontata la questione dei migranti, l’atteggiamento è sempre rivolto al “noi”, quasi che queste persone si “materializzino” in Libia. Raramente emerge il tema ambientale, strettamente connesso alle migrazioni in corso. Il dibattito è guidato dalle emozioni».

INVECE SLOW FOOD invita a riflettere: lo fa ogni giorno dal portale slowfood.it, dalle pagine del notiziario associativo Slow e da quelle dell’ExtraTerrestre, di Repubblica e de La Stampa; lo fa con centinaia di azioni realizzate ogni anno nei territori, promossi dalle condotte e dalle organizzazioni regionali. «Non abbiamo mai mancato di dire la nostra sui temi politici. Penso alla legge sullo stop al consumo di suolo, con un impegno volto a migliorare il testo di legge approvato dalla Camera dei Deputati (e poi fermo al Senato, sino alla fine della legislatura, ndr) o al tema del glifosato, dove abbiamo fatto da sponda a livello europeo con le altre organizzazione impegnate per la messa al bando. O, ancora, alla questione dei trattati commerciali, con la denuncia prima dell’accordo transatlantico su commercio e investimento tra Europa e Stati Uniti, il Ttip, e poi del Ceta, tra Ue e Canada. Su questi fronti, Slow Food Italia è stata determinata, mantenendo una posizione che non si prestasse ad ambiguità. Lo stesso sul tema dei migranti e della solidarietà» racconta Pascale.
Le ragioni di un impegno così ampio si ritrovano, probabilmente, nel Manifesto dello Slow-Food, un documento firmato da 13 persone (tra loro Carlo Petrini e Valentino Parlato) e pubblicato il 3 novembre 1987 su Il Gambero Rosso, che allora era un supplemento settimanale del manifesto. Slow Food era una «scommessa» per un «progressivo quanto progressista recupero dell’uomo, come individuo e specie, nell’attesa bonifica ambientale, per rendere di nuovo vivibile la vita incominciando dai desideri elementari». Questo processo di emancipazione passava per «il ripristino di una masticazione giustamente lenta, la riacquisizione delle norme dietetiche salernitane, ingiustamente obsolete, nel recupero del tempo nella sua funzione ottimale, di organizzazione del piacere (e non della produzione intensiva, come vorrebbero i padroni delle macchine e gli ideologi del fast)».

TRENT’ANNI DOPO, Slow Food è ancora un cantiere che muove da questi principi. Un cantiere che con il congresso di Montecatini si apre ulteriormente alla contaminazione, a partire dalle organizzazione con cui ha costruito un rapporto di fattiva collaborazione in questi anni, come Legambiente, Wwf, ActionAid, Cittadinanzattiva e Slow Medicine.

VA LETTO COSÌ IL SECONDO CAMBIAMENTO EPOCALE, insieme alla mancata indicazione di un presidente, cioè la nascita della comunità di Slow Food, che affiancheranno l’azione delle condotte. «Sono gruppi di affinità che già esistono, soggetti che si legano per promuovere una qualsiasi attività che porta avanti i principi dell’associazione, anche senza averne la tessera. Rispetto alle condotte, questi soggetti non necessariamente agiscono in un territorio definito, e possono scegliere di operare intorno a un unico tema specifico. A questi soggetti vogliamo offrire una opportunità più snella di far parte di Slow Food Italia, senza la “burocrazia” e gli aspetti formali che caratterizzano la vita delle condotte». Il programma di mandato immagina la nascita di 1.500 comunità entro il prossimo congresso, fissato al 2020. Chiarisce il documento: «Si tratta di comunità che già – nei fatti – esistono, di legami che vanno semplicemente dichiarati». La Slow Food del domani, una Chiocciola che avanza lenta ma sicura