Indimenticabili il sorriso, il piglio e la passione politica di Carme Chacon, morta d’improvviso domenica scorsa a Madrid, a soli 46 anni, dopo essere appena tornata da Miami dove teneva da qualche tempo alcune lezioni di diritto costituzionale. Da un paio di anni aveva infatti lasciato la politica di prima fila, e anche il suo seggio in Parlamento, per tornare agli studi e all’attività di avvocato ma non si tirava mai indietro quando si trattava di dare una mano al Partito socialista (Psoe).

La sua brillante carriera politica si era fermata nel 2011. Non era stata eletta leader del partito per soli ventidue voti. Segretario veniva invece eletto Alfredo Pérez Rubalcaba, ex collaboratore di Felipe González, esponente della vecchia guardia socialista, più rassicurante per un partito che temeva nuovi rinnovamenti di cultura politica e di leadership dopo «il socialismo dei cittadini» della segreteria di José Rodriguez Zapatero.
Il Psoe paga ancora oggi il suo deficit di coraggio, inchiodato com’è attualmente a una troppo benevola astensione al governo super moderato di Rajoy. Cosa sarebbe accaduto con la prima segreteria donna alla guida di un partito in Spagna e di conseguenza candidata donna socialista a premier?

L’ho conosciuta quando era la enfant prodige del Partito socialista spagnolo. Deputata per la prima volta non ancora trentenne nel 2000, poi vicepresidente della Camera, poi ancora ministro della Casa e ministro della Difesa dal 2008 al 2011, era l’immagine del rinnovamento al femminile che aveva portato Zapatero alla segreteria del Psoe nel 2000 e dal 2004 per otto anni a capo del governo.

Iscritta alla gioventù socialista già a sedici anni, famiglia antifranchista, catalana di nascita e formazione, giurista molto apprezzata Chacon era amata come personaggio pubblico e politico anche perché prima donna a sfidare il maschilismo dei militari spagnoli. Sono indimenticabili le foto di lei incinta, già ministro, che passa in rassegna le forze armate e prende le distanze dall’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan nel 2013 illustrando la posizione critica del governo di Madrid.

Sono frastornato. In queste ore mi vengono in mente le discussioni con lei e con il marito Miguel Barroso, ex collaboratore del manifesto, mio amico fraterno da ben quarant’anni, sulla sinistra spagnola e italiana, insieme all’emozione per l’arrivo del loro figlio che ora ha appena otto anni. Non si parlava mai della sua malformazione cardiaca che si è rivelata fatale.

Lei era piena di voglia di vita. Mi piace ricordarla così, in un ritratto pubblico e privato che bisogna custodire nella memoria.