Se n’è andata Emilia Clemente, che però per tutti e tutte era Emi – Emi così, all’italiana – Cossutta, una lunga militanza comunista iniziata negli anni Quaranta, durante la guerra, e poi subito consolidata nelle grandi campagne per la pace degli anni Cinquanta, convintamente nel Pci fino alla Bolognina, da dove poi seguì il marito nella Rifondazione comunista, e poi ancora dopo il ’98 nei Comunisti italiani. Era il secolo scorso, ma Emi non era una donna d’altri tempi. La sua intelligenza, quel sorriso sincero, leale e contagioso che non l’hanno abbandonata quasi fino all’ultimo, l’hanno sempre resa attuale, antiretorica, propensa a declinare le convinzioni ideali alla vita quotidiana, alle relazioni, all’attenzione curiosa ai cambiamenti e alle nuove generazioni.

Emi era una donna interessante perché sempre interessata a quello che aveva intorno, alla politica per come si trasformava – e spesso non in meglio – sempre capace di cogliere il positivo anche in un contemporaneo che niente più aveva a che vedere con gli straordinari tempi in cui si era formata. Aveva conosciuto il partigiano Armando Cossutta – «l’Armando», lo chiamava lei – al primo anno di università. Avevano vent’anni, nella loro Sesto San Giovanni, quindi erano minorenni: per sposarsi, non in chiesa, dovettero chiedere il permesso ai genitori.

È stato amore per sempre e per entrambi fino a sabato scorso. Bibliotecaria di Feltrinelli, partecipe nella cultura della Milano di quegli anni, è stata sempre a fianco di suo marito. A fianco, non all’ombra. E anzi quando stavano insieme era lei a “oscurare”, con la sua vitalità aperta e diretta, il dirigente comunista dal noto stile opposto.

Lascia i figli Anna, Maura e Dario, gli amati nipoti Simon, Carlotta, Matilde e Guido, e il suo adorato Armando, dopo più di settant’anni d’amore.