Formatosi al Centro Sperimentale di Cinema di Roma, Simone Manetti, fotoreporter e documentarista livornese, classe 1978, si è guadagnato il rispetto della critica con due lavori intensi e difficili. Il primo del 2014, un corto tratto dal lavoro di foto reportage “A New family” che racconta la storia di due donne, l’una cacciata di casa perché malata d’AIDS e l’altra reduce da una vita di violenze, che si scelgono e decidono di resistere insieme alla miseria e alla disperazione. Premiato in giugno al Biografilm Festival di Bologna, il suo nuovo lavoro è invece un lungometraggio intitolato “Goodbye Darlin’ I’m off to fight”. Una produzione indipendente (Meproducodasolo) corteggiata al momento da tre grandi distributori internazionali e in attesa di una distribuzione italiana per l’autunno . Abbiamo parlato con Manetti del suo lavoro in vista delle ultime proiezioni speciali prima dell’auspicata uscita nelle sale.

Il tuo film parla della storia di Chantal, un ex modella e attrice che molla tutto e va a vivere in Thailandia per diventare lottatrice di muay thai. Come sei arrivato alla storia di Chantal?

Mentre ero in Cambogia a fotografare e filmare quello che sarebbe diventato A new family, un’amica giornalista mi parlò della storia di Chantal, una ragazza italiana con un passato di attrice e modella che aveva mollato tutto per andare a vivere in Thailandia, dove era divenuta campionessa di Muay Thai. Cercai così Chantal, che però era tornata in Italia a causa di un infortunio. Lei mi inviò dei diari e dei filmati girati da lei durante la sua prima permanenza in Thailandia. Capii subito che oltre alla storia interessante di un cambio radicale di vita-lasciare le abitudini di una vita intera per abbracciare una disciplina sportiva durissima- c’era qualcosa in più, un dolore, una sofferenza nel quale avremmo probabilmente potuto scavare. Quando l’ho chiamata e le ho detto che avrei voluto fare un film sulla sua storia, non sapevo realmente cosa sarebbe successo. Una volta guarita dall’ infortunio, Chantal ha deciso di tornare a combattere e nell’agosto del 2015 siamo partiti per Bangkok per seguire i suoi passi.

Un fatto che colpisce del tuo lavoro è che l’aspetto documentaristico di cronaca è avvolto da dettagli stilistici che spingono dritti verso il vero focus del film, ovvero la vicenda interiore di Chantal, il perché della sua scelta e il come della sua preparazione sportiva. Oserei anche dire il fino a che punto…

La storia di superficie è insolita e curiosa: una bella ragazza, potenzialmente all’apice della sua carriera- a NY era diventata anche cantante di una band underground- in seguito al naufragio di una storia d’amore sbagliata, abbandona tacchi alti, smartphone e, in fondo, il suo stile di vita mondano, e se ne va in Thailandia a combattere. Ma dai suoi diari e dai suoi filmati, oltre che dalla sua disponibilità di fronte alla possibilità di girare, ho capito che il film si sarebbe presto trasformato in un’indagine su un essere pieno di ferite, in cerca di una catarsi, che poteva avvenire attraverso le riprese e di una guarigione da queste sofferenze profonde e in un certo senso rimosse.

Il film non segue uno sviluppo cronologico, vi sono inserti di vecchi filmati. Le vostre riprese, invece, come si sono svolte?

Dopo pochi giorni dal nostro arrivo siamo riusciti a divenire invisibili, a seguire Chantal nei suoi spostamenti, nel suo quotidiano, senza che questo alterasse il susseguirsi degli eventi. Nonostante si fosse “consegnata” ovvero, avesse accettato di lasciarsi filmare e di realizzare il film, era concentratissima sulla preparazione atletica in vista del titolo mondiale, era molto sfuggente. Al tempo stesso avevamo capito che proprio attraverso la preparazione di questo combattimento importante, Chantal avrebbe rincontrato i vecchi fantasmi, percorrendo un viaggio a ritroso tra le sue sconfitte, non solo quelle sul ring. Era quindi un momento importantissimo, e dovevamo documentarlo limitando al massimo la nostra presenza tecnicamente intesa. La presa diretta e il pedinamento sono frutto del mio percorso di fotoreporter e documentarista e si sono rivelati molto adatti anche in questo caso. Perseveranza e fortuna sono elementi chiave nell’ attesa di ottenere un’inquadratura: nel momento in cui, nel punto massimo degli allenamenti, il suo coach le comunica che non potrà partecipare al titolo, noi avevamo la camera accesa perché stavamo filmando la sua conversazione con altri compagni. Solo così è stato possibile captare la reazione di Chantal a questa triste notizia.

Notizia alla quale reagisce cambiando coach e cercando un altro combattimento.

Sì, Chantal torna da quello che era stato il suo primo allenatore, Andy, che già all’inizio della sua carriera sul ring le aveva detto che non aveva niente da perdere a combattere. Una figura importante, benché transitoria, come tutte quelle maschili nella vicenda di Chantal. Ma anche Andy ha perso qualcosa di molto prezioso ed è colui che può dirle senza troppi problemi che lei sta combattendo contro se stessa. Ha quindi un ruolo fondamentale in questa vicenda.

Dietro alla violenza del muay thai si cela la vera essenza di una protagonista dolcissima, ferita in cerca di un riscatto: di certo hai saputo intercettare il bisogno di raccontarsi della protagonista.

Ho capito che quella di Chantal era una dolcezza coperta dalla violenza; ho sentito che sarebbe stato bene andare in fondo, nella speranza che stare di fronte alla telecamera divenisse curativo, che le riprese funzionassero quasi come un percorso terapeutico. Per questo ho contattato i genitori, ma con loro non c’è stato molto bisogno di scavare, non volevo colpevolizzare il loro ruolo, mi interessava piuttosto il loro punto di vista sul percorso della figlia. Non a caso la parte della loro testimonianza nel montaggio del film corrisponde a quella in cui lei decide di tornare sul ring, a distanza di un anno del mancato titolo mondiale; l’incontro finale è quello con i propri demoni più profondi.

Da regista, che tipo di distanza o vicinanza hai cercato con la protagonista, come persona?

Il rapporto con Chantal è stato complesso, difficile ma allo stesso tempo molto bello. Abbiamo dovuto creare un contatto intimo che ci permettesse di entrare nella sua vita, nei suoi racconti più intimi e struggenti. Lei doveva sentir la fiducia nei confronti della troupe , ma non percepirci come amici, poiché far trasparire la nostra vicinanza e affezione nei suoi confronti avrebbe interferito e probabilmente cambiato i suoi comportamenti e le sue reazioni. Può sembrar malvagio ma avevo l’esigenza che Chantal si sentisse sola proprio come lo era stata nei 5 anni precedenti, per poter captare le sue reazioni più spontanee e naturali, come se attorno a lei non ci fosse nessuno. Avevo la necessità che non vi fosse nessun appiglio affettivo e che, una volta ancora, facesse tutto con le sue sole forze. Il primo abbraccio tra me e Chantal c’è stato solamente dopo la prima italiana al Biografilm. È stato bello perché, finalmente, abbiamo potuto abbassare la guardia.

Due film, due storie dure e due storie al femminile. È un caso?

Ho scoperto la mia fascinazione per le storie femminili solo in un secondo tempo, solo quando gettando un sguardo a ritroso ho scoperto che, in modo inconsapevole il tema centrale, il fulcro dei miei lavori era sempre attinente all’universo donna. È un mondo dal quale sono estremamente attratto, poiché lo conosco meno e amo investigarlo. Ho sempre cercato di indagare la sofferenza non tanto per il fattore commovente e pietistico ma come specchio per riflettere le infinite possibilità delle reazioni umane: le donne hanno una forza tutta loro nel saper reagire riuscendo a ribaltare il destino in modo struggente, estremamente deciso e potente allo stesso tempo.

 

I prossimi appuntamenti

In attesa dell’uscita nelle sale italiane, «Goodbye darlin’, I’m off to fight» verrà proiettato il 23 luglio come evento speciale nel fitto programma del Lago Film Fest, a Treviso; il 25 luglio nel concorso ufficiale dell’ Est Film Festival (Viterbo); il 30 luglio nel concorso ufficiale del Social World Film Festival di Napoli e il 1 agosto alla Fortezza Vecchia di Livorno dove aprirà la rassegna estiva curata da Il nido del Cuculo e Kinoglaz. Tra il 2 e il 7 di agosto il film sarà in concorso ufficiale Frontiere al Molise Film Festival di Campobasso. Il film di Manetti è inoltre in Short list per alcuni importanti festival internazionali