«Noi siamo quella razza che non sta troppo bene, che di giorno salta i fossi e la sera le cene. Lo posso gridar forte, fino a diventare fioco: noi siamo quella razza che tromba tanto poco». Se ne è andato anche Carlo Monni, mitico Monna di Televacca, Bozzone di Berlinguer ti voglio bene, Vitellozzo di Non ci resta piangere. Attore e poeta. Amico di Benigni, di Giuseppe Bertolucci e di Ceccherini. Se ne è andato per troppa vitalità e troppa generosità, come i suoi amici Donato Sannini e Marco Melani. «Credi che sia facile trovare uno come me?».

No, Monni era unico. Maialaro, comunista ancor prima di nascere, aveva cominciato leggendo Dante e gli amati poeti toscani ai suoi animali. «Dicono che la carne viene più saporita». Era una tradizione toscana. Nato a Campi Bisanzio nel 1943, più vecchio dei suoi amici del cuore, Roberto Benigni e Donato Sannini, coi quali parti’ un giorno alla volta di Roma per tentare il teatro off e il cinema, Monni ha vissuto bene e intensamente. Non lasciandosi mancar niente, scegliendo solo quello che gli piaceva, non portando le scarpe chiuse neanche d’inverno, seguitando a far serate poetiche, a rispondere alle chiamate di tutti i ragazzetti che volevano fare cinema e a portarsi un libro di poesie in tasca durante le sue lunghe passeggiate.

Grande conoscitore di Dino Campana, amato e venerato a Firenze e in Toscana come l’ultimo di una generazione ormai in via d’estinzione, Monni è stato un grande compagno di viaggio per Benigni, sia in tv che al cinema, portandosi dietro la sua sana fisicità e una tradizione poetico contadina assolutamente originale. Giuseppe Bertolucci lo ha immortalato, oltre che nel celebre monologo di Berlinguer, in un video tutto dedicato a lui, Figlio di puttana, figlio di Sergio Leone, Gianni Amico lo ha voluto coprotagonista con Victor Cavallo di un clamoroso Io con te non ci sto più” che venne censurato proprio perche’ Carlo recitava sempre col pisello di fuori. Per Massimo Ceccherini, che lo ha voluto in tutti i suoi film, da Lucignolo all’ultimo, La mia mamma suona il rock (dove fa il prete, ma gli scappò una bestemmia nelle riprese..), e per il quale è stato l’unico Geppetto possibile nel suo Pinocchio teatrale, era come un padre. Magari è stato anche un po’ Mangiafuoco, ma era un compagno di serate meraviglioso.

E’ stato un personaggio paterno anche per Nuti e Benvenuti, per il quale fu Gino in Benevenuti a Casa Gori (lì incontrò Ceccherini). E ha interpretato il padre (che vorremmo) di tutta una generazione, da Valerio Mastandrea (Tutti giù per terra) a Elio Germano (Il mattino ha l’oro in bocca), da Paolo Ruffini a Filippo Timi, col quale ha recitato in una lunga serie di Sky proprio l’estate scorsa e che deve ancora andare in onda. Ha rifiutato proposte che non gli piacevano («Un mi garba la compagnia», diceva di un film comico in costume), e ha accettato tutte quelle che gli venivano da ragazzi alle prime armi («eh… So’ amici»), anche scordando che aveva altri impegni e non sapendo come fare a stare in due posti contemporaneamente.

Forte e generoso, comunista fino all’ultimo, e pochi giorni fa discusse a lungo su Grillo, che non gli garbava per nulla, sempre sorridente, sembrava impossibile distruggerlo. Come era impossibile distruggere le poesie che seguitava a leggere ovunque. Chiamarlo ospite dei miei programmi, li ha fatti tutti, era soprattutto un piacere e un ritorno. Non ci sarà più un altro Monni. «Quella razza siamo noi, è inutile far finta, che ci ha trombato la miseria e siamo rimasti incinta».