Domenica in tutta la Bielorussia dalla capitale Minsk fino al più remoto capoluogo, molte migliaia di cittadini sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Alexander Lukashenko, il lider maximo che governa il paese slavo con il pugno di ferro da 26 anni. Le elezioni presidenziali da lui volute per il 9 agosto per tenere lontana la gente dalle urne rischiano di diventare un referendum sul suo regime dopo che sabato era stato arrestato il candidato dell’opposizione Sergey Tichanovsky per impedirgli di partecipare alla contesa.

Manifestazioni e presidi di protesta dell’opposizione unita (dai cristiano-democratici alla sinistra radicale di Un mondo giusto) si sono tenuti in tutte le città da Brest a Grodno da Gomel a Mogilev fino Vitebsk. La gente è scesa in strada anche nei centri più piccoli come Orsha, Lida, Molodechno, Zhlobin, Columns, Rechitsa, dove l’eco della lotta politica solitamente giunge attutito.

A Minsk la gente è rimasta in fila, sotto la pioggia per 4-5 ore per firmare per la presentazione della moglie di Tichonovsky, Svetlana. In tutte le città i giovani sono scesi in piazza al grido di «No tarakan! No pasaran!», gioco di parole russo che letteralmente significa «No agli scarafaggi! Non pasaran!», laddove con scarafaggi si intende la nomenklatura al governo e lo slogan antifascista spagnolo un richiamo alla lotta per la libertà. Le donne invece alzavano al cielo delle ciabatte – divenute il simbolo della ribellione – il migliore strumento da sempre per schiacciare il poco illustre insetto.

Si preannuncia calda quindi l’estate bielorussa, anche perché come dice una vecchia canzone di Dylan «non bisogna essere dei meteorologi per capire dove soffia il vento», che cosa possa succedere quando un popolo si mobilita per difendere i propri diritti. Non è un caso che i partecipanti alle mobilitazioni indossavano mascherine anti Covid-19, il virus che per il presidente bielorusso «o non esiste o va curato con buone dosi di vodka».
Il suo entourage risulta per il momento spiazzato dalla spontaneità della protesta.

È vero, ci sono state qualche decina di arresti, per lo più mirati come nel caso del leader del Partito socialdemocratico Nikolay Statkevich e del presidente dell’organizzazione giovanile Molodoy Front, Denis Urbanovich. Ma ora si scende in piazza senza paura e Lukashenko sembra impossibilitato a usare l’arma della repressione.

Il viceministro degli interni Gennady Kazakevich ha dichiarato: «Ciò che sta accadendo nelle città bielorusse prima delle elezioni sono azioni provocatorie pianificate». Il governo sembra voler battere sul tasto della “rivoluzione arancione” o “telecomandata” e avverte gli oppositori di avere «forze e mezzi per neutralizzare tali minacce nel modo più efficace possibile», ma mai come ora sembrano denunce di circostanza. Il Partito comunista di rito staliniano, sostenitore di Lukashenko, ha tentato di organizzare contro-manifestazioni, ma sono miseramente fallite.

Secondo un sondaggio indipendente se si votasse ora e senza manipolazioni nelle urne, Lukashenko prenderebbe un misero 7%. Charta ’97, il forum che raccoglie tutte le opposizioni del paese ha postato sul suo canale Youtube molte interviste alla gente che affollava le piazze domenicali.

Quella a un giovane ne riassume molte: «Le persone vogliono un cambiamento vero, il paese si sta rinnovando. La vecchia generazione sovietica è rimasta al potere e si è trasformata in una sorta di fascismo. Ora se ne devono andare: abbiamo bisogno di meno corruzione e più democrazia».