Cosa c’è di peggio di rimuovere il presidente siriano Assad dal potere? Rimuoverlo troppo presto. Parola del direttore della Cia, John Brennan. E se tale giudizio – ufficiosamente già espresso dall’intelligence statunitense – arriva nello stesso giorno in cui l’amministrazione di Washington decide di girare alle opposizioni moderate siriane altri 70 milioni di dollari, la strategia di Obama pare sfiorare la schizofrenia.

Assad è un problema o no? Pare non esserlo più per le stesse opposizioni che hanno chiesto alla Casa Bianca l’ennesima pioggia di aiuti. Lo è per il segretario di Stato John Kerry che continua a girare il Medio Oriente sbandierando la necessità di far cadere il presidente siriano. Non lo è per la Cia, che vede nell’eventuale deposizione di Assad un pericolo.

Brennan ha espresso ieri in una discussione al Consiglio delle Relazioni Internazionali la posizione dei servizi segreti, che da tempo accusano i ribelli moderati siriani non solo di essere inutili ma anche di rappresentare un ostacolo alla pacificazione del paese: «L’ultima cosa che vogliamo fare è permettere a elementi estremisti di marciare verso Damasco, non vogliamo un collasso caotico del regime». Washington dovrebbe essere preoccupata dall’eventuale caduta di Bashar perché aprirebbe la strada all’Isis e ad altri gruppi estremisti che «stanno già crescendo in Siria».

La Cia dice la sua, ma tenta di non discostarsi troppo dalla politica ufficiale del proprio governo. Per cui, conclude Brennan, è importante allo stesso tempo «incoraggiare quelle forze dentro le opposizioni siriane che non sono estremiste». E questo la Casa Bianca lo fa: ieri ai 400 milioni di dollari già ricevuti negli ultimi anni dalla Coalizione Nazionale e dal suo braccio armato, l’Esercito Libero, se ne sono aggiunti altri 70. Denaro, spiega la Casa Bianca, che sarà utilizzato per aiuti non letali.

«Oggi posso annunciare un modesto passo nell’assistenza straniera alle opposizioni moderate siriane – ha detto il vice segretario di Stato Blinken – E tra due settimane ci faremo di nuovo avanti alla conferenza in Kuwait per ottenere nuovi fondi per l’assistenza umanitaria dei siriani profughi nei paesi vicini». Perché la crisi, aggiunge, è imputabile ad Assad che utilizza il taglio di cibo e acqua e l’assenza di medicinali come arma. I 70 milioni saranno utilizzati per fornire servizi di base alle comunità e addestramento nella sicurezza informatica e per documentare i crimini del governo di Damasco.

La nuova pioggia di denaro giunge a pochi giorni dall’appello della Coalizione che aveva chiesto altri aiuti per sostenere le attività di chi sta al fronte a combattere l’Isis e l’esercito siriano. La stessa Coalizione che la scorsa settimana, con una giravolta a 360°, aveva rinunciato alla testa di Assad come precondizione alla transizione politica, aprendo di fatto al negoziato con Damasco.

L’Iraq (con l’Iran) libera Tikrit

Il direttore Brennan, nel suo discorso, ha toccato l’altra grande questione che disturba i sonni di Obama: l’Iran. «C’è un allineamento di interessi tra noi e l’Iran – ha detto – Noi lavoriamo a stretto contatto con il governo iracheno. Allo stesso modo l’Iran lavora a stretto contatto con il governo iracheno». Insomma, l’obiettivo è lo stesso, seppur non ci sia un coordinamento ufficiale delle operazioni militari.

Quello che è certo è che l’Iran è ogni giorno più presente sul campo di battaglia, molto di più di quanto lo sia Washington. La battaglia in corso per liberare Tikrit sembra dimostrare un assioma pericoloso per gli statunitensi: come Baghdad è in grado di liberare la città natale di Saddam senza gli Usa, ma con l’aiuto iraniano, può liberare l’intero paese se al fianco ha Teheran e non i raid della coalizione.

Dei 30mila soldati schierati dal governo per riprendere la comunità sunnita, almeno 20mila sono armati e addestrati dall’Iran. Tra loro le potenti milizie sciite irachene Badr che a Teheran sono legate a doppio filo. Le immagini che arrivano dal fronte mostrano i miliziani sciiti in prima linea. E sono proprio loro che ieri hanno annunciato la prossima liberazione di Tikrit: 72 ore, stimano, tre giorni, e dell’Isis non ci sarà più traccia. Per ora, dicono i generali iracheni, di islamisti in città ne restano 60-70. Ma l’offensiva è stata momentaneamente interrotta, per permettere l’arrivo dei rinforzi, forze speciali per la guerriglia urbana che ripulisca Tikrit prima dall’Isis e poi dagli ordigni lasciati dagli islamisti.