«Uno spostamento di luci trasforma l’uno nell’altra, la farsa è una segreta tragedia, la tragedia è una beffa sublime». È quanto scrive Thomas Mann in Dolore e grandezza di Wagner. Cosa c’entra con la Cia? C’entra, perché i fatti raccontati in Killing Machine del premio Pulitzer Mark Mazzetti (Feltrinelli, pp. 348, euro 19) oscillano tra il tragico e il comico. Si tratta di una galleria di personaggi, decisioni, anche fatali, che dipingono un universo di disinteresse per il rovescio delle proprie azioni su altre vite, evidenziando il cinismo, a tratti grottesco, di uno Stato, quello americano, che ha voluto e rivendicato il ruolo di «sceriffo del mondo».

Mazzetti illustra «eventi» che appaiono come una tragedia ma che, se presi nei particolari, hanno il carattere di commedia. Senza essere irriverenti verso le morti causate dalle attività di killeraggio in giro per il mondo, non è un mistero che siamo arrivati a questo momento della storia dell’umanità ragionando su eventi mondiali, come ad esempio le guerre, imbevuti di miti, leggende, rapporti, indiscrezioni, rumors, leaks, informative su 007 e agenti speciali. Questi ultimi risiedono nello spazio dell’immaginario dedicato a persone spettacolari nelle loro imprese, coadiuvati dal consueto armamentario tecnologico, di collaboratori, di governi disposti ad assecondarli e armi vere e proprie, compresi droni capaci di uccidere o di compiere agguati senza curarsi troppo dei «danni collaterali». Oppure abbiamo l’idea dei servizi di intelligence che prendono cantonate tremende, quando non sono direttamente coinvolti in bufale – quelle che sono state chiamate le «pistole fumanti».

Siamo di fronte a ridicoli – e tragici – orpelli di Stati nazione moderni, vanagloriosi retaggi di vecchi militari, che coincidono il più delle volte con spiritati incubi di incalliti complottisti sempre pronti a suggerire l’esistenza dell’«eterodirezione», l’operaziona segreta, sporca, clandestina. Scoppia una rivolta? È voluta da qualcuno. Fomentata da qualcun altro e messa in pratica da loro, dalle spie. Cade un governo? C’è di mezzo il servizio segreto, sia americano o russo (vedi Ucraina). La questione, però, è che spesso è tutto vero. E Mark Mazzetti nel suo libro descrive queste traiettorie, non lasciando nulla al caso, a parte un’anedottica che piace molto agli americani. Facendo la tara da queste specificità yankee, Mazzetti descrive quanto tutti hanno pensato: la Cia lavora di brutto. Bene o male, ma è sempre lì a organizzare operazioni di copertura. E l’11 settembre ha dato il via libera alla licenza più ambita: quella di uccidere. In questo modo l’Agenzia ha cominciato a gestire budget sempre più ampi, collaboratori in ogni luogo, sviluppando conoscenze e reti informative.

Fin da subito però sono emersi alcuni problemi, a causa del sistema americano capace di mischiare Stato e privati, intelligence e militari. I problemi principali sono due. Il primo: la Cia ha sempre sofferto l’ingerenza del Pentagono, specie quando con Bush le operazioni sotto copertura sono diventate talmente tante da spingere la Cia a un ragionamento molto semplice: torturare non serve (come dimostrato da un recente report del Senato statunitense), bisogna rasare a zero; in pratica, conviene uccidere invece che torturare.

Problema numero due: gli analist officer ex Agenzia, o i vecchi generali con il pallino della guerra e il terrorismo che minaccia i placidi caminetti delle case americane, hanno grande agibilità negli Stati uniti. Perché hanno potere. Ecco il secondo problema: i contractors privati, spesso assunti e coordinati da generali in pensione, a caccia di informazioni, vere o false che siano. Se poi queste informazioni telecomandano i droni a radere al suolo villaggi di civili (come accade nella celebre serie americana Homeland, un riferimento dovuto, leggendo il libro di Mazzetti) poco male, un errore è sempre da mettere in conto.

Ci sono tante storie e intrecci nel libro di Mazzetti, ma la parte più interessante è quella legata alle attività di Obama, presidente fautore del passaggio storico, in termini di intelligence, che vede il passaggio dal «martello» al «bisturi». Obama, scrive Mazzetti, «non è il primo presidente democratico progressista a sposare le ’operazioni nere’, scientifiche e omicide. John F. Kennedy mise la firma definitiva sullo sbarco alla Baia dei Porci e aumentò le operazioni clandestine in Vietnam. (…) E il primo direttore Cia di Obama (Leon Panetta, n.d.r.) si è rivelato il più influente dai tempi di Casey durante l’amministrazione Reagan». Obama, non a caso, ha approvato tutti i programmi lasciati in eredità da Bush.

Mazzetti racconta un fatto recente, che permette di approfondire la disponibilità di Obama a operazione «coperte», ovvero quelle che dovevano portare all’uccisione di un obiettivo prefissato (stiamo parlando di persone sospettate di essere pericolosi terroristi, ed è un peccato che l’opera di Mazzetti non abbia potuto utilizzare tutto quanto uscito fuori dallo scandalo Datagate): Panetta si presentò un giorno alla Casa Bianca con una serie di potenziali operazioni paramilitari della Cia, da fare approvare. All’epoca le stridenti differenze tra la raccolta di informazioni, tipica attività di un servizio di intelligence e le pratiche omicide, erano già state ampiamente superate. Panetta voleva altri droni armati e l’autorizzazione a chiedere il permesso del Pakistan per voli in corridoi più ampi delle zone tribali, i cosiddetti «flight boxes». Obama all’epoca aveva già aumentato il numero di agenti sotto copertura in Pakistan, che spesso agivano all’insaputa dei servizi segreti pakistani, che pure erano utilizzati in forma collaborativa dalla Cia in funzione anti taliban in Afghanistan. «La Cia si era talmente innamorata dei suoi droni, da non porre ai propri analisti la domanda fondamentale: fino a che punto i bombardamenti telecomandati creavano più terroristi di quelli che ammazzavano?».

Alla fine, nella Situation Room, Obama accettò tutte le richieste di Panetta: «La Cia, disse il Presidente, otterrà quello che vuole».