«Ieri ho voluto fare una prova: ho cercato di prelevare dei soldi con il mio bancomat greco ma non c’è stato niente da fare, non sono riuscita a prendere neanche i 60 euro giornalieri che pure sono previsti. Sullo schermo è apparsa una scritta che mi avvertiva che non c’era l’autorizzazione per le operazioni internazionali. Mi sono sentita umiliata». Mentre racconta questa piccola esperienza, Viki Markaki non nasconde l’amarezza nella voce. Giornalista, da molti anni in Italia, per lei è stato facile rimediare dei contanti. Le è bastato fare un prelievo dal conto che ha con la sua banca italiana e il problema si è risolto. La frustrazione però è rimasta, e forte. «Quando parlo al telefono con i miei amici che come me vivono a Roma, spesso ci capita di piangere per il nervoso», racconta. «Noi greci veniamo descritti come un popolo che si è indebitato perché non ha voglia di lavorare, ma non è vero. Senza contare certa informazione che diventa terrorismo, come quando alcuni giornali scrivono che per andare in Grecia è meglio portarsi il passaporto perché domenica potremmo uscire dall’Europa. Ma quando mai?».
Se si chiede a un greco che vive in Italia che sentimenti prova nel vedere le difficoltà con cui il suo paese è costretto a fare i conti, la risposta è una sola: umiliazione per come l’Europa tratta la Grecia ma anche orgoglio, e tanto, per come la Grecia sta dimostrando di saper resistere ai «ricatti» di Bruxelles. Sono circa 60 mila i greci residenti nel nostro Paese (4.000 a Roma), una comunità fortemente legata a noi da una vicinanza culturale, ma non solo. Molti infatti sono arrivati tra la fine degli anni ’60 e i primi dei ’70 per sfuggire alla dittatura dei colonnelli e poi sono rimasti mettendo su famiglia. Tra loro tanti professionisti: medici, ingegneri, architetti, molti lavorano nel commercio. E anche tanti studenti. Negli anni ’80 solo a Roma se ne contavano fino a 8.000, oggi ridotti ad appena mille. «Anche questo fa parte della crisi», spiega Antonio Milizis, 56 anni, per molto tempo ai vertici della comunità ellenica romana e proprietario a Trastevere di Akropolis, il più antico ristorante greco della capitale. «Prima venivano a studiare anche se Roma era cara, con le stanze in affitto a 500 euro al mese. Adesso per loro è impossibile restare».

Se non hai un lavoro, poi, le cose si complicano. Il controllo dei capitali imposto alle banche elleniche ha reso praticamente inutili carte di credito e bancomat, e difficilissimi i trasferimenti di denaro all’estero. Impossibile acquistare un biglietto aereo on line o prelevare soldi, difficile perfino noleggiare un’auto. Insomma un inferno.

Ne sa qualcosa Iorgos, 30 anni, prossimo alla laurea in giurisprudenza che, dice, «da venerdì vivo con 15 euro in tasca». «Sono bloccato, senza soldi da casa non posso neanche pagare l’affitto», spiega. «Sto cercando una soluzione con i miei genitori, ma purtroppo è impossibile mandare soldi anche attraverso le poste greche. Per fortuna mi aiutano i miei amici italiani».
Frustrazione, difficoltà anche nel condurre una vita normale. Nessuno, però, se la sente di condannare il governo Tsipras per le decisioni prese fino a oggi. Anzi, se c’è una critica che in molti rivolgono al premier greco è quella di non essere andato fino in fondo rompendo le trattative con l’Eurogruppo anziché indire il referendum. «Fino a qualche tempo fa tutti pensavano che la colpa della crisi fosse solo della Grecia – dice Milizis -. In parte è vero, ma oggi hanno capito che stiamo pagando le scelte che ci ha imposto la Germania. Non sono un sostenitore di Tsipras, ma se a gennaio fossi stato in Grecia lo avrei votato perché ha ridato dignità al nostro popolo».

Come Milizis la pensa anche Daphne Sulli, greca e professoressa di storia dell’arte a Roma. «Sei anni di sacrifici hanno aumentato il debito e allora a cosa sono serviti?», chiede. «Deve essere default? E allora sia, acceleriamo i tempi, è venuto il momento di dire no e di riprenderci la nostra dignità. E poi ho l’impressione che qualcosa succederà: l’Europa ha bisogno della Grecia per la sua posizione strategica e perché ha il timore che possa finire sotto l’influenza russa o cinese».

La scelta del referendum ha sorpreso anche Viki. «Tsipras doveva dire no alle richieste dell’Europa perché non ha preso solo i voti della sinistra, ma anche di chi voleva uscire dall’austerità al di là delle ideologie – spiega -. È stato eletto per combattere questa Europa, non per uscire dall’Europa».

Anche perché, destre a parte, i greci sono e vogliono restare europei, anche se sei anni di lacrime e sangue, frutto delle ricette imposte loro dalla troika, hanno fatto crescere più di una delusione: «Io sono nata nel 1958 – dice Viki – e per la mia generazione l’Europa è sempre stata la garanzia che non avremmo più avuto una dittatura. E invece è diventata una dittatura economica».

«L’Europa non ci ha sconfitti, ci ha umiliati e c’è una grande differenza», prosegue Daphne. «I finlandesi addirittura ci dissero di vendere il Partenone, ma un popolo non vende la sua storia. Adesso che in difficoltà sono loro voglio vedere cosa si vendono, i fiordi?».
Tra poco più di 48 ore in Grecia si voterà per il referendum, ma è inutile fare previsioni. Una cosa, però, Daphne sente di poterla dire: «Se vince il no di sicuro l’usuraio non vorrà perdere la sua vittima e un modo per aiutarci lo troveranno – dice -. Se invece vince il sì saranno crudeli e ci faranno pagare il nostro rifiuto. E allora sarà la catastrofe».